Milano, vie San Paolino, San Virgilio
“Il Comune ha indetto le gare di appalto per la costruzione di un nuovo quartiere che entro un anno dovrebbe sorgere alla periferia sud, poco discosto da via Famagosta, su un fianco dell’autostrada dei Fiori. L’aspetto più appariscente dell’impresa è che seimila abitanti avranno alloggio in sole quattro case. Quattro edifici di eccezionali dimensioni, evidentemente: non per l’altezza, che si limiterà a 24 metri (sei piani), ma per la lunghezza. Infatti il minore avrà un fronte di duecento metri; il maggiore arriverà a quattrocento metri, gli altri due oltre trecento. I quattro fabbricati formeranno un anello oblungo e lo spazio così circoscritto – altra caratteristica interessante – sarà riservato al traffico pedonale. Il quartiere sarà dotato di servizi civici, commerciali e assistenziali, tanto da poter funzionare relativamente autonomo. Attorno si stenderanno boschi di pioppi, il cui impianto è pure prossimo. Mentre procederanno i lavori di costruzione delle case, il Comune provvederà a fare le strade e a dotare la zona dei servizi pubblici. Si avrà qui una pianificazione totale”. Nulla sarà lasciato alla improvvisazione e, nell’intervista al “Corriere della Sera” del 6 gennaio 1963, Arrighetti continua affermando che “non costruiamo una serie di silos umani o un nuovo pezzo di città dormitorio: ma costruiamo una collettività”.
Era questa l’intenzione di Arrighetti nel progettare il quartiere Sant’Ambrogio che veniva realizzato all’interno del PEEP del 1963, su un’area caratterizzata da residui di insediamenti agricoli, tangente l’autostrada Milano-Genova. Si tratta di uno dei rari quartieri milanesi del dopoguerra progettato da un solo architetto. Il complesso è concepito come un quartiere introflesso, protetto e autosufficiente, ma al tempo stesso pronto al dialogo con la realtà della città in espansione.
A delimitare il quartiere si collocano i quattro lunghi edifici di sette piani sopraelevati su portici aperti, in linea continua ad andamento sinuoso, che formano una cortina e racchiudono lo spazio centrale interno, rigorosamente pedonale, dove sono inseriti i servizi collettivi del quartiere: due scuole materne, la scuola elementare, due serie di negozi, la chiesa e il centro civico.
Le residenze si sviluppano secondo quattro diverse tipologie abitative. Il traffico privato e pubblico è completamente esterno al quartiere e scorre su una strada perimetrale. La ragione di tale schema nasce dal desiderio di creare tra gli abitanti numerosi momenti di incontro, allo scopo di incoraggiare la creazione di una piccola collettività cosciente.
Foto: C. Camponogara.
Le residenze si sviluppano secondo quattro diverse tipologie abitative. Il traffico privato e pubblico è completamente esterno al quartiere e scorre su una strada perimetrale. La ragione di tale schema nasce dal desiderio di creare tra gli abitanti numerosi momenti di incontro, allo scopo di incoraggiare la creazione di una piccola collettività cosciente. Gli edifici residenziali sono rivestiti in mattoncini rossi, mentre gli edifici pubblici sono rivestiti a intonaco cementizio grigio. L’architetto riesce a coniugare una grande attenzione per gli edifici con quella per la dimensione umana degli abitanti.
Di pochi anni successivi, il Quartiere Sant’Ambrogio II è impostato sullo stesso schema, ma la tipologia edilizia risulta semplificata e basata sulla prefabbricazione. Arrighetti ripresenta infatti la cortina edilizia con semplici stecche di edifici che formano una linea spezzata, realizzati con elementi prefabbricati. Il paesaggio si è radicalmente trasformato negli ultimi anni, formando la scena di una nuova complessità: una sorta di auspicabile connessione di coordinamento tramite la gestione oculata delle aree non edificate, gli open space necessari alla città per servizi di generale utilità.
Il legame ideale tra i due quartieri è costituito dall’uso dei mattoni rossi di gres negli edifici residenziali, che rimandano al rosso dei mattoni delle costruzioni rurali più antiche.