Pubblichiamo qui di seguito la prima parte (ne seguiranno altre tre, nei prossimi mesi) di una mia sintetica ricerca su architettura e cinema, in particolare sull’espressionismo, razionalismo e declinazioni scenografiche dagli esordi agli anni Sessanta. È il completamento di una ricerca svolta in più parti in altre sedi.
Tutto il lavoro si collega soprattutto ad alcuni miei articoli apparsi sulla rivista digitale “L’Architetto” dedicati alla città futura, alla metropoli del futuro distopica, decadente o virtuale, alla vita futura, ricerca basata sull’analisi di film sia degli esordi che contemporanei.
Metropolis di Fritz Lang, 1926.
Tra espressionismo, razionalismo e declinazioni scenografiche
Possiamo individuare la nascita di un rapporto consolidato tra architettura e cinema approssimativamente negli anni Venti con i primi film espressionisti, proseguendo con alcuni film dedicati interamente a città – sperimentali o meno –, fino a Metropolis che segna una linea di confine per le opere successive. Numerosi i film dedicati alla città futura, variamente declinati. Questo tema viene trattato proprio qui, nella prima parte intitolata Espressionismo.
Alcune grandi città sono protagoniste di film che restituiscono la complessità urbana con modalità vicine alla realtà oppure con l’adozione di nuove tecniche che trasformano spazio e tempo fino all’astrattismo (nella seconda parte, Sinfonie di città).
Un ulteriore capitolo, La nuova architettura, è basato sui documentari dedicati ad architetti, edifici e quartieri razionalisti che esaltano e diffondono la nuova architettura o successivamente il modernismo fino all’omaggio del 1988 di Bady Minck ad Adolf Loos.
Successivamente – dagli anni ’30 ai ’60 – troviamo alcune opere cinematografiche con scenografie che sottendono una interpretazione negativa del razionalismo legata al racconto filmico distopico, scenografie di città utopiche, scenografie uniformate dalle majors americane e interpretazioni architettoniche geniali e inquietanti quali Il Processo, capolavoro di Orson Welles (quarta parte, Razionalismo ambiguo o distopico).
Il Golem. Come venne al mondo (Der Golem, wie er in die Welk Kam), Paul Wegener e Carl Boese, 1920.
Espressionismo
Negli anni Venti confluiscono nel cinema tedesco gli elementi fondamentali espressionisti utilizzati dalle principali discipline artistiche (pittura, letteratura, teatro e architettura): deformazioni biomorfe e zoomorfe delle scenografie, deformazioni della percezione degli spazi, forti contrasti tra luci e ombre che corrispondono a deformazioni dello stato d’animo dei personaggi, alle atmosfere fantastiche, oniriche e angoscianti dei racconti.
La scenografia – la città, gli spazi interni – diventano di fatti personaggi.
Il risultato costituisce una vera e propria rivoluzione rispetto al cinema tradizionale e prosegue con la produzione di molti film dopo le due emblematiche opere sotto descritte.
M. Il mostro di Dusseldorf (M – Eine Stadt sucht einen Mörder), Fritz Lang, 1931.
Il Gabinetto del Dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari) di Robert Wiene, del 1920, rappresenta per antonomasia l’espressionismo cinematografico.
Il racconto del protagonista Francis è un lungo flashback.
Caligari, individuo ambiguo, tiene sotto ipnosi un sonnambulo che sarebbe in grado di predire il futuro se svegliato. Seguono predizioni, morti misteriose e il rapimento della bella Jane che riesce a salvarsi.
Il protagonista scopre il trucco ma Caligari si rifugia presso un manicomio dove viene detenuto, ma improvvisamente il flashback termina e lo spettatore desume che i protagonisti sono pazienti del manicomio, il dottor Caligari è il direttore dell’istituto e Francis, che si ribella, viene contenuto con una camicia di forza.
Il Gabinetto del Dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari), Robert Wiene, 1920.
L’intreccio, che è una sorta di un incubo con sequenze drammatiche, oniriche e angoscianti dove realtà e sogno-incubo si intrecciano, è restituito dalla scenografia del film (di Walter Reimann con Hermann Warm e Walter Rörigh) le cui deformazioni restituiscono simbolicamente gli stati d’animo della psiche dei personaggi e in genere del film che è considerato il primo vero film espressionista della storia del cinema.
Molte le letture interpretative del film, tra le quali l’analogia tra il potere ipnotico del Dottor Caligari e l’ipnosi di massa effettuato dal nazismo.
Il Gabinetto del Dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari), Robert Wiene, 1920.
Ma il vero protagonista del film è la scenografia – volutamente costituita da fondali dipinti, grafici – completamente deformata: paesi formati da gruppi di casette dai tetti aguzzi, coperture percorribili con improbabili tetti e comignoli, arredi fuori scala, vie urbane e interni sghembi con contrasti tra elementi appuntiti e volumi contorti che assomigliano a visceri. Luci radenti determinano ombre lunghe e inquietanti enfatizzando il contrasto tra bianco e nero.
Alcuni spazi esterni al manicomio assumono caratteristiche metafisiche.
Il Gabinetto del Dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari), Robert Wiene, 1920.
Il Golem. Come venne al mondo (Der Golem, wie er in die Welk Kam), film muto, del 1920, di Paul Wegener e Carl Boese, è uno dei principali film espressionisti – che influenza molti dei successivi film di genere – caratterizzato soprattutto dalla scenografia di Hans Poelzig che realizza i disegni trasformati dalla moglie scultrice in modelli di creta e dalle luci di Kurt Richter.
Molti gli espedienti e i trucchi sperimentati e adottati nel film: polvere di mica per il pulviscolo alla luce del sole, sovrimpressioni delle immagini, luce e riflessi sui protagonisti, i movimenti del Golem e altri.
Il Golem. Come venne al mondo (Der Golem, wie er in die Welk Kam), Paul Wegener e Carl Boese, 1920.
Il racconto si svolge nella Praga del 1580 dove l’imperatore vuole allontanare gli ebrei dalla città. Il rabbino realizza il Golem – statua di argilla antropomorfa che prende vita – per salvare il suo popolo. Tra intrighi e colpi di scena il Golem si ribella all’ordine di rapire la figlia del suo padrone e semina il panico nel ghetto; solo l’intervento di una ingenua bambina riesce a fermarlo e a riportare la pace.
Il Golem. Come venne al mondo (Der Golem, wie er in die Welk Kam), Paul Wegener e Carl Boese, 1920.
Ancora luci radenti e ombre allungate caratterizzano spazi e architetture di una sorta di città goticheggiante e realizzata in argilla – come il Golem – con vie strette, casette deformate dai tetti aguzzi che sembrano sagomate in argilla, pinnacoli, volumi densi e accatastati. Gli spazi sono deformati, inclinati, obliqui, tra archi e volte deformi e oniriche, scale e bucature organiche e antri dalle fauci spalancate a comporre un intrico di ambienti e percorsi sovrapposti e stratificati di cui non si riesce a comprendere l’esatta conformazione.
Le scenografie, decisamente biomorfe e antropomorfe, riflettono l’inquietudine del racconto e l’angoscia dei personaggi.
Il contrasto tra il vuoto di spazi e luoghi che si contrappone a sequenze di massa provoca alterazioni della percezione spaziale.
Il Golem. Come venne al mondo (Der Golem, wie er in die Welk Kam), Paul Wegener e Carl Boese, 1920.
Metropolis di Fritz Lang del 1926 è alle porte: la scenografia sarà ugualmente protagonista e ben più complessa.
L’origine di tutta la successiva cinematografia di fantascienza relativa alla “metropoli futura” è senza dubbio Metropolis.
Consiglio vivamente la recente versione integrale e restaurata (148 minuti rispetto ai circa 90 di quella precedente) poiché assisterete a un “nuovo film”, unitamente all’allegato Viaggio in Metropolis che racconta la storia del film, del restauro, propone disegni e filmati inediti del set, riferimenti architettonici dell’epoca, ecc.
36.000 comparse, 1.100 teste rasate, 200.000 costumi, 500/600 modellini di grattacieli di 70 piani, 300 automobili in miniatura, 620.000 metri di pellicola negativa e 1,3 milioni di metri di positivo sviluppato, 5 milioni di marchi il costo, 75.000 marchi il ricavo: questi i numeri del film.
Metropolis di Fritz Lang, 1926.
L’insuccesso e le conseguenti perdite finanziarie causano il ritiro e il taglio drastico del film: la Paramount porta il film in America e opera un primo taglio seguito da un successivo nell’edizione tedesca; una complessa ricerca durata decenni conduce alla scoperta di nuovi frammenti di pellicola e documenti sino al ritrovamento a Buenos Aires di un originale molto danneggiato che permette la ricostruzione della versione integrale.
Ho già ampliamente analizzato in altre sedi il film (tra cui in “L’Architetto” , n. 7, luglio-agosto 2013) e le influenze che ha determinato fino ai giorni nostri con film quali Blade Runner, Batman di Tim Burton, Brazil, Minority Report, Il Quinto Elemento e altri.
Metropolis di Fritz Lang, 1926.
Il mostro di Dusseldorf (M. Eine Stadt sucht einen Mörder) di Fritz Lang del 1931, anticipa i noir realizzati successivamente e costituisce un esempio di innovazione tecnica e filmica da parte di Lang e del montatore Paul Falkenberg che sarà utilizzata in seguito da molti registi.
Le scene di massa sono girate in un hangar per dirigibili dismesso presso l’aeroporto di Berlino-Staaken.
Racconto il film in maniera un po’ più minuziosa in ragione dell’importanza di simboli, allusioni, luci e ombre, spazi affollati o vuoti, tecniche cinematografiche e percorsi e spazi urbani determinanti ai fini sia del racconto filmico che di quello onirico della città.
Scale vuote riprese dall’alto, spazi vuoti, inquietanti scale a chiocciola.
L’assassino è solo un’ombra e l’omicidio è rappresentato semplicemente da un pallone che rotola da un cespuglio e un palloncino gonfiabile che si impiglia nei cavi dell’alta tensione.
I sospetti dilagano tra i cittadini con sequenze che esasperano il clima di sospetto e angoscia: un grande uomo che osserva dall’alto un piccolo anziano ripreso dal basso, tentativi di linciaggio, strade equivoche di notte in ombra con luci radenti prima vuote e poi riempite da persone che fuggono dalle perquisizioni della polizia.
Cerchi concentrici sulla mappa della città si allargano indicando l’espandersi dei controlli della polizia ma anche un’onda che si allarga sempre di più
M. Il mostro di Dusseldorf (M – Eine Stadt sucht einen Mörder), Fritz Lang, 1931.
Per la criminalità organizzata la vita diventa difficile, decide di ristabilire l’ordine e di ritornare a svolgere la propria attività in pace. Si servono dell’organizzazione dei mendicanti che si divide i quartieri della città. Sono sorvegliate le scuole, i negozi di giocattoli e i luoghi più a rischio.
Nelle riunioni spesso non si vedono persone ma solo ombre proiettate sulle pareti.
La macchina da presa dalla strada inquadra una finestra ed entra con continuità nello spazio interno affollato.
Il mostro è individuato e i mendicanti lo seguono e si danno il cambio lungo le vie della città con inquietanti vetrine. L’assassino scappa. Seguono ombre contrastanti delle persone sui muri, vie riprese dall’alto con l’assassino braccato, campi e controcampi dello sguardo dell’assassino e dei suoi inseguitori. Lo perdono di vista; forse è entrato in un palazzo: la macchina da presa inquadra ruotando la facciata del palazzo con moltissime finestre, ma è l’ora di uscita dagli uffici; il mostro non è tra le persone uscite.
Il palazzo per uffici denota inaspettatamente uno stile razionalista con lunghe finestre a nastro.
M. Il mostro di Dusseldorf (M – Eine Stadt sucht einen Mörder), Fritz Lang, 1931.
M. Il mostro di Dusseldorf (M – Eine Stadt sucht einen Mörder), Fritz Lang, 1931.
M, nascosto all’interno, non è scoperto. I delinquenti decidono di acciuffarlo da soli.
Il Mostro cerca di forzare la serratura di alcune porte, mentre i delinquenti cercano di entrare negli uffici bucando i solai dei locali al piano di sopra. Seguono frenetiche corse lungo le scale – elemento nodale della sequenza che collega tuti gli spazi – e tutti accorrono, aprono la porta verso un ufficio con forti contrasti di luce e buio, di oscurità bucata dalle luci delle torce.
La polizia riesce a catturare un delinquente e lo interroga: inquietanti le riprese dal basso, da sotto la scrivania, del commissario.
M. Il mostro di Dusseldorf (M – Eine Stadt sucht einen Mörder), Fritz Lang, 1931.
M. Il mostro di Dusseldorf (M – Eine Stadt sucht einen Mörder), Fritz Lang, 1931.
La malavita intanto ha condotto il Mostro in una vecchia distilleria abbandonata. M è portato in un locale con una platea di delinquenti che lo vogliono giudicare come fosse un processo in un tribunale. Inquietanti le immagini di M con lo sfondo della platea e il primo piano del palloncino che oscilla.
M piange e afferma che non è colpa sua: la sua è una lunga arringa di difesa. Ha una maledizione dentro di sé; si sente inseguito da sé stesso ed è costretto a scappare mentre i fantasmi di madri e bambini lo inseguono. La sequenza è scandita dai primi piani del volto stravolto di M. Arriva infine la polizia che in nome della legge lo arresta. Segue il drammatico processo.