Architetto Marconi, lei nacque in Friuli, nella cosiddetta “Terra del Mattone” nel ’32 a San Vito al Tagliamento. A quei tempi c’erano pochi architetti, ma molti costruttori. Cosa la spinse a fare l’architetto?

Scegliere di fare l’architetto per me è stato uno sbocco naturale. Ho sempre amato le costruzioni. Ho seguito un’inclinazione che si sviluppò sin dal Liceo classico quando iniziai a studiare le architetture greche e romane. La storia dell’arte e dell’architettura in particolar modo mi hanno sempre interessato. A Venezia alla Facoltà di Architettura ebbi come insegnante Bruno Zevi, che ci aprì gli occhi. Ci mostrò, attraverso l’analisi delle architetture più famose, le problematiche che gli architetti del passato dovettero affrontare. Altrettanto fondamentale fu il corso di Egle Renata Trincanato, che ci fece ridisegnare i progetti degli architetti moderni. Io scelsi la Biblioteca di Viipuri di Alvar Aalto.

Federico Marconi, Centro polifunzionale della Scuola media consorziale di Pagnacco (Udine), 1987-93; 2000.
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A questo proposito, durante la sua formazione architettonica ha avuto modo di collaborare con Carlo Scarpa, Gino Valle e, per un lungo periodo, appunto, con l’architetto Alvar Aalto. Ci vuole raccontare quali sono stati gli insegnamenti che ha tratto da queste esperienze?

Durante il mio apprendistato ebbi la fortuna di collaborare con grandi architetti, che mi furono di esempio.
Carlo Scarpa per me è stato un maestro nell’uso dei materiali e nell’inserimento di opere del passato in edifici moderni. Lo seguii per un periodo nella realizzazione di casa Veritti a Udine. Curava il dettaglio che traduceva in modo elegante ed espressivo nelle architetture che progettava.
Gino Valle, allievo di Gropius, portò in Friuli il linguaggio degli americani. Con lui ebbi un’esperienza interessante, perché appresi ulteriori tecniche costruttive d’avanguardia all’epoca e ricordo che mi fermavo nella sua biblioteca personale a studiare progetti e tecnologie per trovare soluzioni architettoniche sempre più interessanti.

Federico Marconi, con Giannino Furlan e Vittorio Zanfagnini, CRO – Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (Pordenone), 1975-96.
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E per quanto riguarda il suo periodo finlandese?

Nel 1959 ebbi la fortuna di vincere una borsa di studio per la Finlandia. Entrai subito nello studio di Alvar Aalto a Munkkiniemi, Helsinki, ove restai per tre anni progettando moltissimo. Vissi ad Otaniemi dove Aalto costruì, tra l’altro, il TKK (il Politecnico di Helsinki) realizzando quasi tutti gli edifici. Per l’impianto si ispirò all’acropoli delle città greche.
Tra i diversi edifici curai la progettazione dell’Auditorium, disegnandolo quasi totalmente. Aalto mi presentò uno “scarabocchio”, che interpretai: c’era solo l’impianto generale. Seguii anche i cantieri con altri ragazzi dello studio. Vedemmo sorgere l’edificio e imparammo a gestire le costruzioni in ambienti molto freddi (in Finlandia si arriva tranquillamente a -30° in inverno). L’edificio veniva racchiuso in una “scatola” riscaldata che permetteva poi di fare i getti. In seguito presi parte anche alla progettazione del Teatro dell’opera di Essen.
Dopo il lavoro mi fermavo spesso in studio, nell’archivio, a studiare i progetti di Aalto allo scopo di impadronirmi del linguaggio del Maestro, per poter creare soluzioni coerenti con il suo pensiero architettonico, ma anche innovative.
Aalto comunicava con noi attraverso piccoli schizzi che contenevano “in nuce” la sua visione dell’opera architettonica. Da lui ho imparato a considerare l’architettura al servizio del “piccolo uomo”, secondo una definizione del Maestro.
Rientrato in Italia, partecipai al concorso nazionale per il Padiglione di ingresso dell’Ospedale di Udine, che vinsi. Con questa opera iniziai la mia attività di architetto indipendente che dura ancora oggi.

Federico Marconi, Casa Zannier a Ragogna (Udine), 1964.
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In 50 anni di progettazione architettonica ha visto mutare stili, pensieri e approcci alla progettazione. In particolare, l’attenzione alla storia, alla funzione, al contesto è un approccio che l’ha sempre caratterizzata. Oggi tali tematiche vengono spesso messe in discussione perché vincolano lo sviluppo della creatività progettuale. Cosa è per lei la “creatività” in architettura? Ci si può svincolare effettivamente da questi elementi, creando comunque progetti di qualità? Lei come si rapporta ad essi durante la progettazione?

Come ha detto bene, in cinquant’anni ho visto scorrere molti stili architettonici che, per diverse motivazioni, si sono imposti. A partire, ad esempio, dal razionalismo sempre più spinto, che, però, risolse effettivamente la produzione in serie di elementi costruttivi e quindi diede un grosso aiuto allo sviluppo economico del Paese.
In quel periodo il concetto di “funzione” prevalse in certi casi a discapito della bellezza, quando invece ci vuole sempre un certo equilibrio in tutto, specialmente in progettazione. Perché non bisogna mai dimenticare che l’architetto è “a servizio” della società e che anche la bellezza è fondamentale per vivere bene. La “creatività” in architettura è legata a questo concetto di “servizio”. Si può avere uno stile personale, a mio parere, ma bisogna sempre pensare che quando ad esempio si progetta una abitazione c’è qualcuno che deve vivere al suo interno. Quindi, non si possono tralasciare contesto, storia, funzione e bellezza. Anzi! Costituiscono una sfida e un limite, che però creano l’idea originale!

Federico Marconi, Complesso Parrocchiale “Gesù Buon Pastore”, Udine, 1987-97; 2004.
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Ho un bellissimo ricordo personale di quando la incontrai la prima volta alle scuole superiori dell’Istituto d’arte “G. Sello” di Udine, negli anni ’90, quando si rivolse a noi giovani durante una conferenza parlando del “Fuoco Sacro” dell’architettura. Rimasi molto affascinata da questo pensiero. Più tardi ebbi la fortuna di diventare sua allieva e me ne parlò ancora. Se oggi dovesse rivolgersi a tutti coloro che desiderano intraprendere la strada dell’architettura, cosa direbbe?

Il “Fuoco Sacro” è la propria attitudine. Credo che occorra perseverare nella ricerca e nello sviluppo delle proprie passioni. “Fare Architettura” è un’arte difficile: non va presa sottogamba, altrimenti si vendica. Basta guardarsi attorno.

 

Federico Marconi (il primo a sinistra) con Alvar Aalto a Siena, anni Sessanta.
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