La rigenerazione territoriale è un progetto collettivo
Riapertura della ex centrale termoelettrica di Daste e Spalenga a Bergamo
Quando un posto diventa un luogo è il titolo di un bellissimo progetto dell’artista-curatrice Annalisa Cattani, che attraverso l’arte pubblica lavora sui territori abitati e sulla memoria della città e dei suoi monumenti.
Il titolo è intrigante e particolarmente significativo, perché sottolinea la differenza tra un posto qualsiasi e un luogo, parola densa che esprime l’identità profonda e stratificata dell’abitare, evocando i legami che connettono geografia, storia, culture. Forme e significati. Percezioni e segni.
Lavorare sui luoghi è il tema principale per chi progetta: interrogarne l’identità facendola emergere, vivere e rivivere, in una sintesi delicata tra conservazione e innovazione.
È un lavoro che riguarda molti aspetti da miscelare, ogni volta, in un mix specifico che lega ciascuno spazio alle persone che lo vivono dentro e fuori: aspetti fisici e materiali e aspetti immateriali, relazioni morfologiche e umane.
È proprio nella capacità di far dialogare passato e futuro, memoria e trasformazione che si rintraccia la qualità del progetto: i luoghi – a differenza dei posti – pulsano, irradiano energia, condensano emozioni.
Foto: M. Peretti.
A Bergamo c’è un luogo che sta per rinascere dopo anni di sospensione e abbandono ed è interessante ascoltarlo per capire tanti temi che compongono il progetto della città, il suo successo o il suo fallimento.
Si tratta dell’ex centrale termoelettrica di Daste e Spalenga, un edificio sorto nel 1927 per fornire energia all’adiacente cotonificio Albini-Tosi, ma anche ai comuni di Torre Boldone, Ranica e Alzano Lombardo. Dismessa negli anni ’60 in seguito al declino del settore tessile, la centrale ha funzionato per trent’anni come un pacemaker, regolando i battiti cardiaci di un’economia locale con radici profonde, appoggiata, già dal medioevo, a un sistema idrico raffinato di canali artificiali derivati dal fiume Serio, che alimentavano filande e opifici: la località di Daste e Spalenga, a est della città di Bergamo, era attraversata dalla Roggia Morlana. Lungo le infrastrutture, che nei secoli creavano energia e consentivano lo sviluppo delle attività manifatturiere, si è costituito un sistema di relazioni territoriali importante in cui i vari punti rispondevano a una logica di rete e costruivano paesaggio (qui).
Foto storica del cotonificio Albini-Tosi.
Dal punto di vista architettonico, l’edificio della centrale esprime la consapevolezza del ruolo sociale e territoriale che doveva svolgere: è monumento, istituzione, baricentro simbolico e rappresentativo.
La struttura è compatta e chiara.
Lo spartito regolare dell’impaginazione di facciata, definita dal ritmo delle paraste giganti, dei marcapiani e delle cornici, accoglie le note riconoscibili e ricorrenti delle aperture declinate in base alle esigenze funzionali dell’interno. In particolare, il tema dell’oblò scandisce la composizione caratterizzandola fortemente sia verso il dentro che verso il fuori. Occhi che guardano e si fanno guardare.
L’architettura è contemporaneamente massiccia e leggera, materica e permeabile. Attraverso i serramenti vetrati dell’involucro si percepiscono caleidoscopiche prospettive sul paesaggio circostante, vicino, verso la piazza e gli spazi aperti a livello strada, e profondo, quando si sale ai piani superiori e si vede la geografia di un territorio dilatato, pianura e montagne. Ma lo stesso grado di permeabilità si respira all’interno, dove le vetrate che delimitano i locali prospettanti sulla grande sala delle turbine creano scorci e trasparenze affascinanti. Ogni punto è uguale e diverso.
La sala è per molti versi un teatro perfetto: il grande carroponte restaurato e lasciato in opera, così come le nuove dotazioni impiantistiche a vista di recente realizzazione, la rendono una macchina da scena in attesa di eventi e rappresentazioni. Piazza coperta, elemento di aggregazione di tutti gli spazi più minuti che vi prospettano: l’edificio si costituisce come pezzo di città coperta.
Foto: ©Giusi Cella.
Ma non basta una bella architettura per fare di un posto un luogo: il processo che ha portato al recupero della centrale comprende molti altri aspetti che, nel loro insieme, ne fanno un esempio significativo di come si dovrebbe progettare la rigenerazione urbana.
Negli anni dell’abbandono alcuni sguardi anticipatori si erano posati sull’edificio sottraendolo all’oblio che, spesso, è la premessa della cancellazione di preziosi pezzi di città: ciò che non viene percepito perde valore riconoscibile e si avvia verso la propria distruzione.
Nel 2001 un gruppo di architetti autoproduce un’iniziativa dal titolo “Vecchi insediamenti – Nuovi territori” riaprendo l’area industriale chiusa da anni per un week end, organizzando visite guidate per migliaia di cittadini e allestimenti temporanei per interrogarsi sul futuro di questo luogo: il valore della centrale torna a galla, mostrandosi in tutto il suo fascino e le sue opportunità.
Sono gli anni in cui comincia ad affermarsi l’urbanistica “strategica” e in cui la potenzialità dell’enorme patrimonio di aree industriali dismesse diventa il tema portante della città da rigenerare, costruendo sul costruito.
Nel Programma Integrato d’Intervento (PII) presentato nel 2003 da un operatore privato per la trasformazione totale dell’area dismessa del cotonificio, il progetto del nuovo quartiere residenziale conserva il fulcro della centrale, riconoscendola come testimonianza importante di archeologia industriale: verrà assunta come standard qualitativo da cedere al Comune per farne un polo di attività culturali a servizio di questa parte di città. Un primo intervento per la dotazione del nuovo sistema distributivo di accesso ai piani con la formazione del volume aggiuntivo con scala/ascensore, viene realizzato dall’operatore privato nell’ambito dello standard qualitativo del PII.
“Vecchi insediamenti – Nuovi territori”, foto: Giusi Cella.
Nel 2016 il Comune (a questo punto proprietario dell’immobile) si aggiudica i finanziamenti per portare a termine la ristrutturazione dell’edificio e dell’antistante piazza, partecipando al bando del Piano nazionale per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie col progetto “Legami urbani”.
La capacità dei Comuni di reperire finanziamenti partecipando in modo efficace e tempestivo ai bandi promossi dai livelli superiori di governo è un fattore determinante nei progetti di rigenerazione urbana del patrimonio pubblico (qui).
Sempre nel 2016, un allestimento sitespecific dell’artista Alfredo Pirri, promosso dall’associazione Contemporary Locus e curato da Paola Tognon, riafferma in modo affascinante le potenzialità del luogo, la sua straordinarietà, il suo valore.
Alfredo Pirri per Contemporary Locus. Foto: ©Mario Albergati.
E nel 2018 la gestione della centrale viene assegnata dal Comune tramite bando pubblico a un gruppo multidisciplinare di associazioni cittadine, che presentano un progetto di gestione quindicennale, mixando attività culturali, di assistenza sociale, di creatività e di intrattenimento, ciascuna con una propria identità e campo specifico d’azione, insieme con l’obiettivo di creare sinergie efficaci. Un progetto gestionale che intreccia attività fisse e l’obiettivo di promuovere un calendario di azioni nel transitorio destinate a target di interessi sociali e culturali plurimi.
Foto: M. Peretti.
Si tratta di:
– Generazioni Fa, associazione che promuove i diritti di cittadinanza delle persone in condizione di fragilità e che trasferirà nella centrale la propria sede amministrativa e direzionale;
– Lab80, società cooperativa storica che da quasi 70 anni si occupa di cultura cinematografica. Gestirà la nuova sala per proiezioni e organizzerà rassegne e eventi culturali, legati alla produzione e distribuzione cinematografica;
– Nutopia srl, aprirà nella centrale un nuovo bistrot, associando l’attività dell’enogastronomia alla programmazione di eventi musicali, culturali e artistici;
– Openarch, associazione che si prefigge di essere un punto di riferimento per la cultura architettonica e urbana non solo della città, attraverso la pluridisciplinarietà, la collaborazione con associazioni, enti ed istituzioni territoriali, la promozione di nuove forme di organizzazione dell’attività professionale e di coesistenza tra le diverse figure nella condivisione e diffusione dei saperi e nel coinvolgimento dei cittadini;
– Ruah Cooperativa Impresa Sociale s.c.s., che aprirà un ambulatorio sociosanitario autorizzato. Si occupano di alta formazione in etnopsichiatria, alfabetizzazione di lingua italiana di livello superiore e IFF-Integrazione Film Festival e altri eventi culturali;
– Unione Professionisti ed associazioni culturali trasferiranno la sede, svolgendo, oltre alle funzioni amministrative, un ruolo nell’organizzazione di convegni e momenti formativi.
Foto: M. Peretti.
Forze attive della città che hanno deciso di coabitare uno spazio e che da quello spazio hanno tratto l’ispirazione a collaborare per generare energie amplificate.
Il progetto della co-abitazione è a sua volta un tema fondamentale della rigenerazione urbana: richiede sperimentalità, approfondimenti, disponibilità a mettersi in gioco in un processo di trial and error, che sta quasi tutto fuori dalle codifiche delle norme vigenti, riferite ancora, in gran parte, a modi superati di pensare alla città. Il supporto di BAM! Strategie Culturali, deriva dalla consapevolezza che è necessario condividere le pratiche migliori, lavorando in rete e incrociando più sguardi.
Foto: M. Peretti.
Ed è proprio questa la lezione che il luogo di Daste e Spalenga ci insegna. La rigenerazione avviene soltanto lavorando sui 3 aspetti che si intrecciano indissolubilmente dentro un luogo:
1. L’HARDWARE, cioè, la parte fisica, gli edifici e i loro spazi, le strade, le piazze, quello che chiamiamo tessuto connettivo dell’abitato. I pieni e i vuoti;
2. Il SOFTWARE, cioè, il sistema di regole di coabitazione degli spazi fisici da parte della comunità;
3. Il SENSO COMUNE E L’EDUCAZIONE, che consentono alla comunità di capire, condividere, farsi parte attiva e responsabile nella gestione dell’hardware e del software e quindi delle regole della coabitazione.
Perché questo possa verificarsi è necessaria la convergenza e la sinergia tra i diversi attori in quello che non può altro che definirsi come processo che, via via, mette a punto azioni coerenti nel tempo per il conseguimento degli obiettivi, in una logica di continuità e di coordinamento che supera la frammentazione: istituzioni a vari livelli (locali e nazionali), operatori privati e pubblici, cittadini che si mettono in gioco.
La rigenerazione è un processo collettivo, sperimentale e difficile: è il passaggio dall’IO al NOI, in un rapporto di cooperazione e di alleanze indispensabili per fare vivere i Beni Comuni e fare di un posto un luogo.