Dal maggio di quest’anno si può leggere la traduzione italiana del libro Il fungo alla fine del mondo (ed. italiana Keller, 2021), scritto dell’antropologa Anna Lowenhaupt Tsing: è il frutto di un lavoro di sette anni che intreccia saperi multidisciplinari e indaga le imprevedibili combinazioni di mondi geografici e culturali distanti, superando le rigide divisioni tra discipline umanistiche, scienze sociali e naturali.
Il filo narrativo del testo è il fungo Matsutake, prodotto di culto per i giapponesi: si racconta che sia stata la prima forma di vita a rinascere sul suolo di Hiroshima disastrato dalla bomba atomica.
Per la sua attitudine alla collaborazione mutualistica con alcuni alberi, in particolare con i pini, a cui cede e da cui contemporaneamente riceve nutrimento, il Matsutake è un fungo “creatore di mondi”: la sua capacità di metabolizzare suoli privi di humus fertile gli consente di svolgere un ruolo di rigenerazione delle rovine lasciate dalle azioni antropiche o da eventi naturali catastrofici.
Seguire le sue tracce in giro per il pianeta, dalle foreste dell’Oregon a quelle finlandesi e giapponesi, è l’occasione per indagare gli ecosistemi, le loro perturbazioni, la loro precarietà: osservando con un’attenzione “polifonica”, si scoprono assemblaggi aperti di organismi multispecie che si riorganizzano in modi del tutto non pianificati e non pianificabili.
Il mondo non è uniforme e descrivibile con parametri modellizzabili e scalabili. È fatto di patch in cui si intrecciano azioni e reazioni tra creature, l’essere umano tra i tanti.
I modi di essere sono il risultato di incontri: ciascun organismo cambia il mondo di tutti gli altri.
È soprattutto un nuovo modo di osservare quello che l’autrice di questo libro straordinario ci propone. Di osservare e descrivere abbandonando i percorsi monodirezionali tracciati sulla scorta di pseudo certezze che procedono lungo traiettorie lineari in avanti, perché il tema non è più quello di creare il futuro e di inseguire la presunzione del progresso, piuttosto quello di imparare a sopravvivere in un mondo costantemente perturbato.
Quella posta dalla Tsing non è una questione secondaria e confinabile nel recinto delle dispute puramente accademiche: l’uso di modelli interpretativi sbagliati e inadeguati non solo non ci consente di raccontare la realtà, ma, ancora più grave, non ci consente di capirla.
Padiglione Italia – Alessandro Melis. Foto: F. Perani.
How are we living together?
Seguendo le indicazioni di Anna Lowenhaupt Tsing, la prima risposta alla domanda che titola la Biennale Architettura 2021 “How will we live together?” potrebbe essere un’altra domanda “Come conviviamo ora?”.
Possiamo continuare a descrivere la realtà della nostra convivenza con modelli, glossari, approcci novecenteschi?
Ignorando quello che già il presente perturbato ci racconta se lo interroghiamo con l’attenzione polifonica che le nuove consapevolezze ci impongono?
NO.
Questo è la risposta molto forte del Padiglione Italia e della curatela proposta da Alessandro Melis.
Per descrivere il Padiglione il termine assembramento che la Tsing usa continuamente insieme al termine patch, appare perfettamente adeguato: un insieme eterogeneo di esperienze, diversità, situazioni che si incontrano nell’evento veneziano, in un contesto planetario travolto dalle emergenze devastanti del Covid, della crisi ambientale e di quella sociale.
Racconti, quelli in mostra, che attestano l’esistenza di nuovi spazi di vita, di nuove forme di sopravvivenza collaborativa.
Rispetto alla narrazione dominante, quella che Melis propone è un’esposizione di margini, ma in fondo, come ci insegna la Tsing, in questo mondo globalizzato ogni cosa è e può diventare margine di qualcos’altro.
È un racconto di intrecci, costruiti sulla specificità dei processi di exaptation generati da contesti perturbati.
C’è l’idea molto forte che l’esibizione non debba essere una parentesi statica e congelata, ma lo sfondo di un laboratorio di incontri che possano originare azioni e reazioni.
È la relazione tra discipline, saperi, sguardi, organismi multispecie e multiscala che determina mondi.
Forse.
Non sempre, perché i matsutake nonostante gli sforzi degli umani, continuano ad essere non coltivabili.
Un allargamento vertiginoso dei temi e delle implicazioni. Sociali, scientifiche, tecniche e tecnologiche. Le forme della rinascita sono sperimentali, pragmatiche, automodellanti, trial and error: nella gran parte dei casi non sono pianificabili secondo logiche e parametri dettati da un “a priori” atopico e astratto.
Il Padiglione Italia è come una foresta dell’Oregon in cui creature precarie provenienti da culture lontane e diverse, vivono cercando e raccogliendo i funghi che, attraverso filiere imprevedibili, arriveranno sulle tavole dei giapponesi, offerti come dono prezioso.
Non ci fornisce la fatidica risposta alla domanda di come vivremo nel futuro (chiunque la cerchi ne rimarrà deluso): di certo però ci fornisce un’istantanea di come viviamo nel presente, evitando di ricorrere a modellizzazioni fuorvianti.
E questo, seguendo la Tsing, è il primo passo fondamentale per capire come sopravvivere nel nostro mondo perennemente perturbato. È la prima delle risposte necessarie.
Padiglione Italia – Decolonizing the Bulit Environment – Feminist Alternatives / ActionAid. Foto: F. Perani.
Detoxing Architecture from Inequalities: a plural act
Dentro il Padiglione Italia, nella sezione Comunità Resilienti, c’è l’allestimento di RebelArchitette che interpreta con arguzia alcuni dei contenuti significativi degli ecosistemi contemporanei.
Non c’è parità tra generi nelle professioni che operano nelle discipline del progetto territoriale.
Lo attestano i numeri: senza numeri la questione femminile è fortemente manipolabile e quasi sempre la manipolazione ideologica è finalizzata ad indebolirne la portata.
È raccogliendo i numeri che RebelArchitette ha reso evidente il contesto del proprio agire. Mostrando in tutta la sua evidenza e misurabilità oggettiva l’esistenza di un gap tossico e ingiustificabile. Il contesto in cui le donne architette agiscono è fortemente connotato da azioni antropiche di ineguaglianza di genere.
Padiglione Italia – Detoxing Architecture from Inequalities / RebelArchitette. Foto. C. Palumbo.
In questo contesto perturbato dall’ineguaglianza, l’attivismo di RebelArchitette si basa su una strategia efficace che ricorda quella dei funghi Matsutake nei paesaggi devastati in cui crescono.
RebelArchitette è un collettivo: le singole individualità lavorano insieme, valorizzandosi reciprocamente. Il tema della sopravvivenza collaborativa è quello che genera le loro azioni e reazioni.
È un collettivo aperto e inclusivo che si prefigge di accogliere ed estendere la partecipazione a soggetti esterni: il suo obiettivo principale è quello di dare visibilità alle progettiste donne e, contemporaneamente, insieme a loro, di fare emergere criteri di qualità finora non considerati nel mercato della professione, per esempio l’impegno sociale, la disponibilità al confronto pubblico, il ruolo di mentoring, l’apertura ad altre discipline.
È un collettivo digitale, che usa al meglio gli strumenti della contemporaneità per creare rete, diffondere, comunicare, ampliare i contatti e i contenuti.
La rete è locale e globale: la questione femminile attraversa il mondo.
Padiglione Italia – Detoxing Architecture from Inequalities / RebelArchitette. Foto: F. Perani.
L’allestimento di RebelArchitette alla Biennale non è statico e celebrativo, non espone pannelli o installazioni scultoree e oggetti più o meno ricercati.
È in sé l’annuncio di un’identità che vuole sottrarsi all’estetizzazione dell’architettura per esercitarsi nel campo della ricerca, dell’incontro generativo, della comunicazione: non manca mai una componente vivace e ironica.
Quelle esposte sono “azioni” pragmatiche, operative, dinamiche.
Un portale ampliabile RebelBiennale2021, che raccoglie una selezione di progettiste evidenziandone il campo di azione, in vista di possibili relazioni lavorative. Architette filtrate dalla loro disponibilità a confrontarsi pubblicamente in eventi, scrittura, mentoring.
Un gioco virtuale che con ironia ripercorre l’esperienza del padiglione posizionando le progettiste in un mondo irreale marziano.
VR – REALTÀ VIRTUALE Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Firenze Sistema DIDALABS – Laboratorio DIDA-LXR. Foto: C. Palumbo.
Un calendario di eventi per conoscere il modo di operare la resilienza delle progettiste selezionate. È una conoscenza verso l’esterno e verso l’interno: le partecipanti si incontrano, si ascoltano, portano e prendono contenuti, conoscenze, nuovi soggetti. È la relazione che determina mondi.
I temi del workshop di apertura (moderato da Maria Luisa Palumbo, Francesca Perani ed Elena Fabrizi), hanno attraversano paesaggi perturbati: urbani, industriali, materiali, formali. Le esperienze presentate pur essendo molto diverse tra di loro hanno però evidenziato una comune attenzione prioritaria ai processi, alla ricerca di relazioni, all’ascolto dei contesti.
Il portale RebelBiennale2021.
Non solo uno sguardo nazionale quello di RebelArchitette, ma la costruzione di una sinergia internazionale come nell’evento “Convergenza di forze: il potere dell’impegno collettivo” curato da Charlotte Malterre-Barthes, docente di Harvard. Per conoscere esperienze che affrontano in modo intersezionale i temi dell’equità, del rispetto, dell’educazione nel mondo del progetto.
La prospettiva che emerge è che, prima di chiederci risposte formali, la contemporaneità ci chiede una nuova capacità di porre domande adeguate e che il progetto territoriale può diventare uno straordinario percorso di conoscenza polifonica.
Per lo sguardo femminile si aprono orizzonti vasti e fondativi.
In questa prospettiva il gender gap da debolezza diventa valore aggiunto in termini di esperienza vissuta, motivazione, creatività, nuovo immaginario, marketing strategico.
La matassa sotterranea di ife nutritive è densa e molto estesa: i matsutake femminili sono già molti. Bisogna soltanto saperli vedere.
Padiglione Italia – Detoxing Architecture from Inequalities / RebelArchitette. Foto: C. Palumbo.