L’originale volume edito da Electa – un doppio catalogo unito nella parte centrale da una singolare brossura continua – restituisce l’irripetibile sguardo sulla città di Gabriele Basilico con le fotografie della grande mostra che si articola nelle due sedi espositive di Triennale Milano e Palazzo Reale a dieci anni dalla scomparsa del grande maestro.
L’esposizione comprende oltre 500 opere che riassumono le fasi e i luoghi più importanti del lavoro di Basilico, architetto di formazione – si laurea nel 1973 con Vittoriano Viganò – e fotografo per passione e professione. La prima sezione, a cura di Giovanna Calvenzi e Matteo Balduzzi e allestita in Triennale Milano, racconta il rapporto con la sua città d’elezione; la seconda, a cura di Filippo Maggia e della stessa Calvenzi – storica della fotografia e compagna di Basilico – è uno straordinario viaggio nelle città del mondo in cui le immagini fotografiche si confrontano con l’incomparabile scenografia architettonica della Sala delle Cariatidi a Palazzo Reale.
Gabriele Basilico, Milano, 2011 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.
Nella mostra in Triennale per la prima volta il lavoro di documentazione prodotto su Milano viene compiutamente indagato ed esposto, rivelandosi chiaramente come esperienza senza precedenti nella storia della cultura visiva italiana. Quella che tutti riconosciamo in maniera semplicistica come la poetica di Basilico – una sorta di malinconia metafisica degli spazi urbani che vede nel vuoto e nel tempo sospeso gli elementi essenziali per il racconto del paesaggio urbano – è in realtà il risultato di un percorso ricco e articolato: un viaggio attraverso i luoghi e le forme della città che ha i suoi esordi ancor prima del progetto per cui, soprattutto tra gli architetti, il fotografo è universalmente conosciuto, cioè Ritratti di Fabbriche. Le tredici serie fotografiche esposte nell’allestimento ideato da Francesco Librizzi Studio ripercorrono tutta la traiettoria professionale di Gabriele Basilico nel suo intimo rapporto con la città di Milano.
Gabriele Basilico, Milano, 1975-80 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.
Nel 1978 l’urbanista Marco Romano e l’architetto Augusto Cagnardi gli affidano l’incarico di lavorare sugli spazi industriali milanesi. Basilico, con l’attitudine del documentarista, indaga le periferie della città nel momento in cui la dismissione industriale lascia le tracce più significative all’interno del paesaggio urbano. È subito evidente, sin da questa serie fotografica intitolata Ambiente Urbano (1975-80), e poi con la più celebre Milano. Ritratti di fabbriche (1978-80), come con Basilico si faccia strada l’idea che a essere decisivo non sia lo scatto in sé, ma il progetto, la ricerca, il racconto di come rappresentare gli spazi della città e delle persone che la abitano. Lo scatto ha solamente la funzione di cogliere quel momento, di inverare quella necessaria attesa in un attimo in cui tutto è sospeso. E in questo spazio senza tempo non ci sono persone, non ci sono automobili, poiché la città si disvela ai nostri occhi proprio in quel frangente. Le persone non ci sono perché – come racconta acutamente Gianni Biondillo – le case, le strade, lo spazio urbano siamo noi anche senza di noi.
Gabriele Basilico, Milano. Ritratti di fabbriche 1978-80 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.
La pubblicazione del volume Milano. Ritratti di Fabbriche è del 1981, la mostra al PAC è del 1983. È lo stesso Basilico a scrivere: “Ho visto così, come se non l’avessi mai visto prima, un lembo di città senza il movimento quotidiano, senza le auto parcheggiate, senza gente, senza rumori. Ho visto l’architettura riproporsi, filtrata dalla luce, in modo scenografico e monumentale. Ho rivisto attraverso il mirino della mia Nikon le immagini nascere da un’operazione di astrazione, di isolamento, di assenza. Ho individuato un metodo per capire e per scoprire ciò che a volte si osserva in modo confuso e miope”.
Gabriele Basilico, Milano, 1996 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.
Questo modus operandi ha le radici nel lavoro di due grandi fotografi del secolo scorso, Bernd e Hilla Becher. Le loro infinite serie fotografiche costituiscono un rigoroso catalogo dell’archeologia industriale tedesca e rappresentano un riferimento estetico e culturale che segnò in maniera pervasiva il lavoro di Basilico. Le loro immagini sono per la prima volta nella storia della fotografia dei ritratti di architetture: inquadrature frontali, in bianco e nero, che evidenziano le caratteristiche scultoree e ieratiche dei manufatti. Un’accezione, quella di ritratto, che – come intuisce Luca Doninelli nel suo saggio introduttivo al catalogo – si riferisce a un duplice aspetto: quello dell’edificio rappresentato nel suo essere-persona e allo stesso tempo quello che esprime letteralmente il ritrarsi dell’oggetto, il suo abbandono. Le 4.000 fotografie scattate come catalogazione della realtà industriale milanese in dismissione sono divenute indiscutibilmente un patrimonio da cui partire per analizzare l’identità e le trasformazioni del paesaggio contemporaneo e per raccontare il processo di stratificazione della città. Con il tempo queste fotografie hanno acquisito uno straordinario valore civile oltre che documentale.
Gabriele Basilico, Milano, 1980 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.
Le serie Immagini del Novecento (1985) – realizzata per un progetto editoriale coordinato da Fulvio Irace – e Milano di notte (1989) – svolta su incarico dell’AEM – sono state decisive per riscoprire alcuni luoghi e alcune figure chiave dell’architettura milanese come Muzio, de Finetti, Andreani, Lancia, Ponti, Portaluppi. Allo sguardo di Basilico dobbiamo senz’altro tanta parte dell’importanza che la Ca’ Brüta riveste nell’immaginario collettivo e nella cultura architettonica milanese d’oggi.
Gabriele Basilico, Milano, 1989 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.
Nella serie La città interrotta (1995-96) emerge invece una raffinata visione critica sul destino dei vuoti urbani, dove il lavoro di indagine fotografica si accompagna ad una evidenziazione dei limiti e delle contraddizioni della città del boom economico, mentre Milano senza confini (1998) –nato da un progetto della Provincia di Milano coordinato da Roberta Valtorta – mostra l’impatto del cambiamento di scala nell’architettura ai margini della città. Trasversale nelle varie serie fotografiche è l’interesse legato al Centro Direzionale della città, a cui Basilico è legato da un vero e proprio legame affettivo. In quel grande vuoto urbano, decisivo per le sorti urbanistiche e territoriali di Milano, il grande maestro tornerà più e più volte nel corso della sua attività di fotografo tratteggiandone i mutamenti e le trasformazioni, fino all’ultima grande operazione immobiliare, dove su incarico di Hines/Coima ne documenterà il grande cambiamento in termini urbanistici, infrastrutturali, tecnologici e architettonici. Ma nel Centro Direzionale Basilico in fondo riconosce i vuoti fotografati nelle città di tutto il mondo, e la stessa Milano, sua città d’elezione, finisce in qualche modo per riassumere tutte le città che ha fotografato.
Gabriele Basilico, Milano, 2008 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.
Le cento fotografie esposte a Palazzo Reale, nella straordinaria cornice architettonica della sala delle Cariatidi, mostrano l’esperienza internazionale di oltre 40 città visitate, studiate e interpretate nel corso della sua vita: una sorta di narrazione sentimentale che esprime una selezione dei più importanti lavori provenienti dall’Archivio Basilico. Shanghai, Rio De Janeiro, San Francisco, Mosca, Barcellona, Parigi, Istanbul, Lisbona, Tel Aviv, Londra, Gerusalemme, Beirut, Porto, Bilbao, Valencia, Berlino, sono tutte città di cui Basilico sembra cogliere e rivelare una nuova, inattesa estetica, priva di sensazionalismo ma in grado di leggere i segni profondi dell’ambiente urbano.
Gabriele Basilico, Tel Aviv, 2006 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.
Il comune denominatore di questi lavori è sempre quello di tenere insieme nella fotografia l’architettura colta e quella comune, in una modalità operativa che esprime a tutti gli effetti un’idea democratica di rappresentazione del paesaggio urbano, non riferita all’oggetto architettonico ma all’ascolto del contesto, fissato in uno scatto senza tempo. Un’esperienza che attraverso la ricerca fotografica esprime l’appartenenza di un luogo a precise condizioni sociali e culturali, uno “sguardo lento” da cui scaturiscono narrazioni fatte di ritorni e di attese come strumenti privilegiati per indagare le città.
Gabriele Basilico, Paris, 1997 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.
Il catalogo, in cui non può che emergere con forza il corpus fotografico di Basilico, è arricchito da una molteplicità di interventi, con testi di Marc Augé, Marco Belpoliti, Carlo Bertelli, Stefano Boeri, Michele De Lucchi, Luca Doninelli, Vittorio Gregotti, Fulvio Irace, Massimo Minini, Franco Ottolenghi, Sandra Phillips, Aldo Rossi, Gianni Siviero, Roberta Valtorta. A compendio è stato inoltre prodotto da Triennale Milano un podcast scritto e realizzato da Gianni Biondillo, in cui la figura del grande fotografo milanese viene raccontata con curiosità, leggerezza e ironia.
Gabriele Basilico, Rio de Janerio, 2011 ©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.