C’è un design prima del design. O, almeno, prima del design come oggi lo vediamo, una galleria di oggetti sacralizzati, in alcuni casi musealizzati ma spesso muti nella loro sostanza, apparentemente privi di una storia comune che ne spieghi le ragioni al di là delle apparenze. Le radici del progetto finalizzato agli oggetti di serie, e i motivi stessi di una disciplina che è parte integrante delle culture del progetto, hanno origini sottotraccia, in anni fertili, difficili, a tratti oscuri; dove le figure di molti protagonisti si distinguono a stento, fatta eccezione per i più noti.
Piero Bottoni ed E.A. Griffini, Gruppo di elementi di case popolari, V Triennale di Milano, 1932-33. Alloggio III, mq 25,50, il soggiorno diviso dalla zona notte da una tenda.
Il volume di Giancarlo Consonni, Il design prima del design ci viene allora incontro come un punto fermo, esplicito e affermativo già nel sottotitolo: Piero Bottoni e la produzione di mobili in serie in anticipo sulla società dei consumi. Si tratta di un puntuale scavo documentale, frutto, nel tempo, di un insistito lavoro su un giacimento archivistico di decisiva importanza: una ricerca che non risparmia continue sorprese, che toglie dall’ombra e ci restituisce nella loro profondità episodi salienti di quella che è stata l’effettiva “invenzione” del design, prima che la società dei consumi la facesse assurgere alla ribalta. E getta luce sul profilo di un pioniere, Bottoni, appunto, che merita una diversa attenzione.
Piero Bottoni, Studi di mobili in tubo d’acciaio, 1929. Schizzi.
Il paradigma del disegno industriale, come è concepito nella sua fase aurorale, intriso di uno sguardo utopico e di un sensibile impegno collettivo, parte da “una base razionale e morale” – secondo una nota dattiloscritta di Ernesto N. Rogers –; coinvolge laboratori artigiani, ditte interessate alla produzione di serie, ed è alimentato dalla volontà di declinare certa sapienza progettuale verso una produzione compatibile con una domanda socialmente sostenibile.
Piero Bottoni, Poltrona in tubo d’acciaio a doppio molleggiamento, 1931-32 (per casa Franceschini). Variante con tiranti in acciaio. Prospetto e fianco.
Come ci documenta Consonni, quelli promossi da Bottoni sono, a tutti gli effetti, prototipi di società-impresa: siamo nella fase in cui è agli inizi l’idea di oggetto di serie progettato con, e per, l’industria, destinato nelle intenzioni a quei ceti sociali che non hanno accesso agli arredi disegnati come pezzi unici, ma ancora inesistente è il sistema – oggi “sistema design” – in grado di connettere competenze progettuali, capacità artigianali, forza dell’industria e un apparato di distribuzione in grado di sviluppare il gusto di un’area sociale ancora impreparata ad accogliere le forme del nuovo. L’intraprendenza delle diverse prove di impresa nelle quali Bottoni è coinvolto in prima persona a fianco di alcuni tra i maggiori progettisti dell’epoca è testimoniata dall’insistita vitalità sottesa ai documenti fondativi rinvenuti, ai carteggi tra sodali, ai verbali di riunioni, alle riflessioni contenute che non risparmiano affondi e autocritiche.
Piero Bottoni, Poltrona con poggiapiedi (realizzazione Columbus), 1936 (courtesy Antonio Colombo Arte Contemporanea).
È datato 1936 il progetto Società K.N. che mira alla “costruzione di un catalogo organico di elementi di arredo messi a punto da un gruppo scelto di progettisti associati nell’impresa”. È ospitata presso la galleria Il Milione di via Brera, già sede della rivista “Il Quadrante”. Se il progetto K.N. non riesce a decollare, a distanza di un quinquennio prende forma una nuova società, anche sulla spinta dell’esperienza della VII Triennale. Tredici progettisti – Bottoni stesso, Albini, i Bbpr, Gardella, Minoletti, Mucchi, Pagano, Parlanti, Pucci, Romano – si uniscono nella Ar-Ar (che sta per Architetti Arredatori): nascono un negozio progettato ad hoc, un catalogo a schede dei prodotti, il logo della società disegnato da Albe Steiner.
Piero Bottoni, Scrivania “Comacina”, edizione Zanotta, 1991 (courtesy Zanotta).
“Seppure la società abbia avuto una durata assai breve – poco più di un anno –, la sua vicenda merita di essere tolta dall’oblio in cui l’hanno fin qui relegata le ricostruzioni della storia del design italiano. Non si può ovviamente dimenticare il grande problema che fa da sfondo: non si poteva immaginare periodo più infelice per una simile impresa”, annota Consonni. Al di là degli eventi bellici incombenti, danno un particolare significato all’impresa i problemi e gli ostacoli “con cui si dovette misurare in Italia il tentativo di dar vita, nel campo degli elementi d’arredo, a un’attività qualificata di produzione in piccola serie in anticipo sull’avvento della società dei consumi”.
Piero Bottoni, Lampada a soffitto per casa Bertolaia a Milano, 1932.
Sono tappe di un percorso che devia poi verso altri sbocchi: alla vigilia della liberazione, A.P.E. – Società per lo sviluppo Artigiano, emanazione de La Rinascente, offrirà al gruppo di progettisti una sponda sul piano commerciale con una richiesta diretta di prodotti inediti; con la sigla AAR – Architetti Arredatori Riuniti –, Bottoni partecipa con profusione di proprie proposte, ma non sarà pienamente corrisposto. Così il decollo del sistema design lo vedrà impegnato su altre scale di grande portata, QT8 in primis. Peraltro, un’alta prova della propria poliedrica e prolifica attività di progettista, a lato dei più noti progetti di architettura e di arredi, Bottoni l’aveva mostrata già alle soglie degli anni Trenta, spaziando, con risultati di incredibile fattura, nella sfera del design e delle arti applicate: dalla grafica al design nautico, dalla moda al tessile, dalla fotografia alla scenografia.
Piero Bottoni, Figurini di moda, 1929 ca.
Conclude Consonni: “La storia del design non è solo fatta di firme prestigiose e di marchi vincenti o di oggetti decontestualizzati da raccogliere alla rinfusa in mostre e antologie celebrative (con tutte le banalizzazioni che si accompagnano alle mitizzazioni e ai successi mediatici). Il design è anche storia collettiva: di modi culturali e produttivi, di capacità inventive, di imprenditori (e investitori) e, anche – fatto non meno determinante – di strati sociali che per la prima volta si sono affacciati sull’orizzonte del benessere economico… Ma l’anomalia, se così vogliamo chiamarla, rappresentata del gruppo degli Architetti Arredatori non giustifica l’oblio… Quello che è bene che non vada perduta è la memoria di quel clima e di quel sodalizio”.
Piero Bottoni, Disegno di tappeto per lo stand Cge alla V Mostra nazionale della radio alla Permanente di Milano, 1933, tecnica mista, cm 28,4 x 22,3, coll. privata.
Resta illuminante, in Bottoni, come intreccio di un’unica tensione, quel procedere in parallelo di progetti di forte sperimentalità – tra cui i memorabili arredi e componenti d’arredo – con quegli esperimenti di impresa, anch’essi prototipi e rimasti alla dimensione di prototipo, ma non per questo meno significativi. Come evocato dallo schizzo in copertina del volume, protagonista è il tubo d’acciaio, riproposto in decine di soluzioni, piegato e ripiegato a disegnare forme fino a indurre flessibilità e molleggio nelle sedute: una continua emblematica ricerca di solidità e flessibilità, emblematica come l’icastica effigie fotografica di Bottoni colto nell’atto di forgiare metalli.
Piero Bottoni, Poltrona per casa Boffito a Milano, 1935, Prospetti, studio di varianti.
Nel suo insieme il volume di Consonni si rivela non solo come un’inedita ricostruzione documentale: va letto anche come un appassionato contributo di metodo a una spesso faticata storicizzazione del design, permeata di lacune, di rimozioni, di origini silenziate, di ingombranti stereotipi: una trama troppo sottile, talvolta difficile da intravedere tra le luci abbaglianti degli show-room.
Piero Bottoni, Tavolo, IX Triennale di Milano, 1951.