Fino al 26 gennaio 2025 il MASI (Museo d’arte della Svizzera italiana) di Lugano dedica una prestigiosa retrospettiva al fotografo italiano Luigi Ghirri (1943-1992) con una selezione di circa 140 fotografie a colori provenienti per lo più dalla collezione degli eredi e dallo CSAC di Parma.
La mostra, dal titolo Luigi Ghirri. Viaggi – Fotografie 1970-1991, a cura di James Lingwood con il coordinamento di Ludovica Introini, è insieme un omaggio a uno dei più grandi fotografi italiani e una riflessione poetica sul mezzo fotografico e sulle modalità attraverso cui è in grado di descrivere e trasformare il viaggio, sia quello reale che quello immaginario.
Foto: ©Stefano Suriano.
Il raffinato progetto espositivo considera il viaggio come filo rosso capace di tratteggiare il percorso culturale e professionale di un immenso corpus di opere che dagli inizi degli anni Settanta si dipana per un ventennio attraverso molteplici serie fotografiche. A partire dai primi viaggi nelle città dell’Emilia Romagna Ghirri colleziona una gran quantità di immagini del quotidiano: manifesti, cartoline, poster, cartelloni pubblicitari entrano nel suo immaginario come “Paesaggi di cartone” e si traducono nel suo primo scritto a stampa, pubblicato a corredo delle fotografie. Questi “paesaggi ritrovati” raccontano già molto del valore dell’immagine nel mondo contemporaneo: “La realtà in larga misura si va trasformando sempre più in una colossale fotografia e il fotomontaggio è già avvenuto: è nel mondo reale” scriveva lo stesso Ghirri nel 1979. Un’originalità di pensiero che conduce il fruitore dell’opera fotografica a porre l’accento verso la rappresentazione di quei luoghi che riassumono le complesse relazioni della fotografia con la realtà. Ne è un caso emblematico la serie fotografica In Scala (1977-85) con scatti realizzati a più riprese nel parco tematico “Italia in miniatura”: qui il Grattacielo Pirelli e la Basilica di San Pietro sono come cartoline viventi di un paesaggio ricostruito nella realtà.
Una sorprendente sezione della mostra intitolata Viaggi in casa comprende le serie Atlante (1973) e Identikit (1976-79). Nella prima Ghirri, con un obiettivo macro, ingrandisce le immagini presenti nel suo atlante catturando in maniera singolare dettagli naturali che risultano svincolati dall’immagine di partenza; nella seconda le fotografie degli scaffali della libreria privata del fotografo ne tracciano un esemplare autoritratto.
Le fotografie di paesaggio più esplicitamente legate al viaggio raffigurano persone in vacanza: una coppia che si prende per mano nell’etereo panorama dell’Alpe di Siusi, la visione appannata che coglie l’immagine degli sciatori al Rifugio Grosté, la luce abbagliante di uno scenario marittimo a Ravenna. Come ha affermato Gianni Celati ne Il profilo delle nuvole, “non può mai esserci la stessa luce sulle cose in due momenti diversi, e dunque le cose non possono mai avere gli stessi colori. Non sarebbe mai possibile fare la stessa foto in due momenti diversi, e il piccolo scarto è dato da questo stato di contingenza che porta a fare la foto”.
Le architetture e gli spazi di Ghirri sono sempre rappresentati attraverso una visione atmosferica, quasi fiabesca e fuori dal tempo, dove tutto è avvolto dalla luce in una profonda ricerca affettiva.
Luigi Ghirri, Alpe di Siusi, 1979. C-print, new print (2001) Eredi di Luigi Ghirri. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri / ©Eredi di Luigi Ghirri.
Luigi Ghirri, Rifugio Grosté 1983. Lambda print, new print (2013) Eredi di Luigi Ghirri. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri / ©Eredi di Luigi Ghirri.
Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, 1986. C-print, vintage print Eredi di Luigi Ghirri. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri / ©Eredi di Luigi Ghirri.
Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, 1972. C-print, vintage print CSAC, Università di Parma. Crediti fotografici: CSAC, Università di Parma / ©Eredi di Luigi Ghirri.
Viaggio in Italia (1984) è una pietra miliare per la storia della fotografia italiana: negli anni Ottanta una serie di incarichi pubblici portano Ghirri a “guardare di nuovo” il suo Paese e a contribuire insieme ai più importanti fotografi – tra gli altri Basilico, Castella, Chiaramonte, Guidi, Jodice – a tracciare una nuova tendenza della ricerca fotografica sul paesaggio. “Se le fotografie ‘di viaggio’ di Ghirri sembrano talvolta affini alle foto scattate dai turisti – afferma James Lingwood, curatore della mostra – sono tuttavia molto diverse”. Il fotografo “non mira a creare una raccolta di momenti memorabili, né a sottolineare la bellezza o l’importanza di un luogo, ma a costruire un quadro riflessivo di una cultura definita e modellata dalle immagini e dalla loro creazione”. Questa attitudine è più evidente dove il tema esprime immagini ben note al pubblico, come i celebri Faraglioni fotografati all’interno del libro Capri (1983) o Versailles (1985), dove i toni tenui e la luce quasi irreale creano un senso di intimità che a prima vista ci fa scambiare la fotografia per un dipinto.
Luigi Ghirri, Capri, 1981. C-print, new print (2008) Eredi di Luigi Ghirri. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri / ©Eredi di Luigi Ghirri.
Luigi Ghirri, Versailles, 1985. C-print, vintage print Collection Massimo Orsini, Mutina for Art. Crediti fotografici: Massimo Orsini, Private Collection.
Lungo il percorso espositivo della mostra risulta chiaro come ogni foto, benché riferita a un’occasione specifica, rimandi ad un’altra, scattata per una serie diversa. Questa sequenza visiva e mentale costituisce un vero e proprio racconto, una trama che si costruisce attraverso pause e collegamenti. Nel passaggio da una fotografia all’altra, il fruitore comprende come le immagini abbiano un valore che va al di là della propria singolarità, del loro essere viste isolatamente. “La ricerca di Ghirri” – afferma sempre Celati – “consiste soprattutto in questo tentativo di aderire al modo di visione previsto dalla cosa fotografata, rinunciando il più possibile ad un suo proprio punto di vista”. Le cose, in sostanza, vanno viste nel modo in cui ci chiedono d’essere viste, e vanno ascoltate per ciò che possono dirci.
Per usare le parole di Luigi Ghirri “i luoghi, gli oggetti, le cose o i volti incontrati in questi paesaggi, aspettano semplicemente che qualcuno li guardi, li riconosca, e non li disprezzi relegandoli negli scaffali dello sterminato ‘supermarket dell’esterno’. Questi paesaggi che appartengono al nostro esistere, forse chiedono di non essere confinati nella modernità, nei deserti o nelle terre desolate, e per questo aspettano da noi nuove parole o figure, perché quelle che conosciamo sono troppo usurate e incapaci di comprenderli, perché il paesaggio di cui parliamo, luogo del presente, si trasformi e non rimanga il luogo di nessuna storia e nessuna geografia”.
A corredo della mostra è stato pubblicato un elegante catalogo con testi di Tobia Bezzola, James Lingwood e Maria Antonella Pelizzari, edito da Mack Books. Il volume si apre con la sezione delle fotografie e si conclude con i testi, l’elenco delle opere, una biografia ed esaustivi apparati bibliografici.