La mostra è dedicata al lavoro di Antonio Monestiroli, professore emerito del Politecnico, direttore del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura, fondatore, con altri, e poi preside della Scuola di Architettura Civile.
I progetti esposti coprono un lungo arco temporale che va dal 1972 a oggi e comprendono concorsi e opere realizzate.
Lo studio dell’architetto, Milano. Foto: TM.
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Due cose colpiscono guardando i tanti progetti esposti, svolti lungo un arco temporale che va dal 1972 a oggi: l’assoluta coerenza del pensiero, a fronte di una ricerca mai interrotta, e la unitarietà di un metodo che in ogni progetto riesce a tenere sempre insieme, ben salde ma anche ben presenti, tutte le questioni dell’architettura, da quella urbana fino a quella della decorazione, solo portando in primo piano ora una ora l’altra, a seconda del tema affrontato.
Monestiroli Architetti Associati con M. Ferrari, Planetario e Museo della Scienza, Cosenza, 2001 – in fase di realizzazione. Foto: Tomaso Monestiroli.
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La coerenza è da intendersi come qualità morale ed etica, prima che architettonica, capacità di mantenere saldo il timone nel seguire la rotta senza deviazioni, nonostante imprevisti, difficoltà e sirene. L’unitarietà richiede grande chiarezza circa l’obiettivo da raggiungere, poiché riguarda la capacità di controllo della complessità dei temi di progetto al fine di condurli a sintesi in una forma compiuta, senza svilirne la ricchezza e umiliarne la presenza. Forse proprio l’equilibrio fra questi due aspetti rende le architetture sempre vive e sempre nuove, risposte aderenti e sorprendenti al problema posto.
Monestiroli Architetti Associati con M. Ferrari, Chiesa di San Carlo Borromeo, Roma, 2005 / 2008-11.
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La ragione degli edifici è la vera questione centrale di ogni progetto e di ogni architettura: per chi la fa, dovendo dare un senso al proprio agire, per chi la insegna, dovendo argomentare un modo di operare, per chi si avvicina a questa disciplina, per trovare una strada. Perché si costruisce, ovvero perché in quella forma?
Monestiroli Architetti Associati con R. Neri, M. Ferrari, S. Guidarini, I. Boniello, M. Introini, F. Gandolfi, C. Tinazzi, M. Bondavalli, L. Margiotta, G. Rivai, P. Marchesini Viola, F. Volpi, V, Donato, Progetto per lo scalo Farini, Milano, 2009.
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La risposta non è univoca, non oggi certamente, e la domanda stessa è scomoda; ma, esplicita o meno, la risposta distingue modi molto diversi di pensare l’architettura. Il titolo della mostra suggerisce una risposta: l’architettura deve trovare delle ragioni, deve fondarsi sulla ragione, è un’attività della ragione, propriamente umana, propriamente conoscitiva. Dichiaratamente inserendosi, in questo modo, nella tradizione di quell’Illuminismo lombardo che ci offre una visione positiva del mondo, in cui l’uomo è artefice consapevole del suo destino, che ci fa sperare che l’architettura sia ancora qualcosa in cui credere.
Antonio Monestiroli, Concorso per la costruzione del nuovo ponte dell’Accademia, Venezia, 1985.
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Perché l’architettura è una forma della realtà, prodotta dall’uomo per l’uomo; e le ragioni dell’architettura, per Antonio Monestiroli, sono le ragioni dell’arte. Che, come sempre, ha il compito di mettere in luce la realtà: ciò significa renderla intellegibile, scomporla, scoprirla, svelarne gli aspetti nascosti e profondi. E questo non può che essere un processo di semplificazione intesa come raggiungimento, perché il mondo è complesso, e l’architettura ne è in qualche modo un distillato, opera artificiale che dalla realtà parte e alla realtà ritorna
Antonio Monestiroli con P. Rizzatto, Concorso per il quartiere delle Halles, Parigi, 1979.
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Poi questa realtà riconosciuta deve essere ricomposta e messa in scena, resa emozionante, poetica, provocare stupore in chi la guarda e la vive, lo stupore attonito della scoperta di una cosa conosciuta da sempre ma inaspettatamente svelata attraverso occhi nuovi, in tutta la sua evidenza, la sua chiarezza, la sua semplicità, appunto. Lo stupore di chi, in quella cosa, riconosce se stesso: è la stessa magia del teatro, perché l’architettura, come il teatro, mette in scena la vita, e lo fa mettendo ordine nella complessità del mondo.