Sinfonie di città

Numerose sono le opere filmiche dedicate alla vita e alle architetture di grandi città. Dalle opere che restituiscono la realtà urbana passiamo a film dove le nuove tecniche cinematografiche permettono una restituzione in cui lo spazio e il tempo sono totalmente trasformati e reinterpretati fino a raggiungere letture sperimentali e astratte.

Charles Sheeler e Paul Strand, Manhatta, 1921.

Il primo cortometraggio dedicato al paesaggio urbano di una grande città, che vede protagonisti gli abitanti, le architetture e la crescita della città stessa è Manhatta del fotografo Paul Strand e del pittore fotografo Charles Sheeler, del 1920-21.
In dieci minuti è restituita una giornata di New York. Vediamo sequenze che ci avvicinano progressivamente alla città dal mare, l’arrivo di traghetti carichi di persone, la folla lungo le strade, i grattacieli e i volumi degli edifici dall’alto, con i fumi che escono dalle coperture e la macchina da presa che ruota verso il basso, cantieri con operai e macchine al lavoro, le strutture metalliche dei cantieri che crescono, particolari di vertiginosi prospetti, la baia dall’alto attraversata da battelli e transatlantici che arrivano, ferrovie e treni a vapore che si muovono, i grandi ponti con arcate e fasci di cavi, scorci aerei di strade trafficate e un tramonto conclusivo.
Sequenze che esaltano il progresso della città.

Robert Florey, Skyscraper Symphony, 1929.

Di notevole impatto è anche Skyscraper Symphony di Robert Florey del 1929, un corto nel quale i grattacieli newyorkesi sono filmati e composti utilizzando un montaggio serrato che propone una restituzione astratta di geometrie puramente visiva. Masse di alti edifici prismatici riprese dal basso a esaltare le vertiginose altezze, alte torri con immagini oblique – la macchina da presa rimane in genere fissa o ruota leggermente –, prospetti scorciati dal basso mentre la macchina da presa oscilla a pendolo o ruota vorticosamente, sale verso l’apice o scende verso la base. I particolari si alternano ai totali degli edifici, masse in ombra che ruotano e costituiscono una sorta di canyon; la macchina da presa si muove sempre più, ruotando e oscillando, alzandosi e abbassandosi; le immagini degli edifici in diagonale sono attraversate da treni in movimento secondo la diagonale opposta; le immagini iniziano a sovrapporsi in movimento.
In seguito, il ritmo diminuisce ritornando alle riprese quasi immobili delle torri dal basso o con rotazioni lente; la luce delle cime si alterna alle ombre lungo le strade. A terra i nuovi cantieri sono sempre all’opera.

Walter Ruttmann, Berlino – Sinfonia di una grande città (Berlin – Die Sinfonie der Groβstadt), 1927.

Una delle opere di maggior compiutezza e intensità è Berlino – Sinfonia di una grande città (Berlin – Die Sinfonie der Groβstadt) di Walter Ruttmann del 1927: una giornata tipo nella Berlino della Repubblica di Weimar.
Il regista, artista e architetto, lavora come scenografo per Fritz Lang e con Lotte Reiniger, Paul Wegener, Abel Gance, Georg Wilhelm Pabst. Realizza alcuni film sperimentali, quali Opus I e Opus II del 1921, Opus III del 1924, Opus IV del 1925, dai quali traspare l’influenza dei film di Dziga Vertov e matura esperienze che traspone nel film dedicato a Berlino. Nel 1933 è chiamato in Italia da Emilio Cecchi dove realizza Acciaio, primo film di finzione che utilizza gli ambienti delle industrie siderurgiche di Terni. Nel 1938 partecipa anche a Olympia di Leni Riefenstahl.

Walter Ruttmann, Berlino – Sinfonia di una grande città (Berlin – Die Sinfonie der Groβstadt), 1927.

Berlino – Sinfonia di una grande città descrive il risveglio e la vita di Berlino nell’arco temporale di una giornata. Immagini drammatiche di povertà si alternano ad attività di persone benestanti, ricchezza e miseria sono costantemente contrapposte.
Le prime immagini propongono particolari di un corso d’acqua e altri elementi che diventano astratti; un treno si sta avvicinando a Berlino mentre scorrono immagini di baracche in periferia, fabbriche, cantieri edili, quartieri appena terminati. Le citate immagini sono alternate a particolari di binari, di parti del treno, di edifici, fino all’arrivo all’Anhalter Bahnhof, stazione ferroviaria nel quartiere Kreuzberg.
Seguono sequenze della Potsdamerplatz e una sequenza a volo d’uccello sopra la città mentre la macchina da presa scende progressivamente lungo le vie deserte. Sono inquadrati alcuni particolari di edifici quali l’angolo curvilineo della Mossehaus di Erich Mendelsohn del 1921-23 e di industrie, macchinari e impianti, negozi chiusi con le serrande abbassate o con manichini esposti. I tram e locomotive iniziano a uscire dai depositi, le fabbriche cominciano a produrre e le macchine si attivano, alcune persone camminano lungo le strade e aumentano progressivamente fino a diventare folla mentre aumenta parallelamente il ritmo delle immagini e del montaggio. Operai, gente comune che si reca al lavoro o alle proprie attività, militari che sfilano in parata, studenti che entrano nelle scuole, velivoli che decollano e propongono immagini aeree, si succedono con ritmi sempre più serrati fino alla pausa pranzo di mezzogiorno con relativo riposo.
Il film prosegue con immagini da un ottovolante, una donna che si suicida gettandosi da un ponte, barche a vela che veleggiano, corse di cavalli e di automobili, parate, sfilate di moda e altre attività ludiche. Alla sera si illuminano le insegne al neon di sale cinematografiche o di altri locali, di pubblicità lungo le strade, mentre ballerine e altri personaggi si preparano nei camerini prima dell’inizio degli spettacoli più vari, comprese gare sportive; i bar si riempiono di persone e di coppie che in seguito entrano negli hotel.
Finale pirotecnico con fuochi d’artificio sulla città.
Il film di Ruttmann è diviso in quattro capitoli corrispondenti ai principali orari della giornata; è definito sinfonia in quanto suddiviso in movimenti. Al termine della giornata sono riproposte le medesime immagini mentre tutto rallenta fino a fermarsi.

Walter Ruttmann, Berlino – Sinfonia di una grande città (Berlin – Die Sinfonie der Groβstadt), 1927.

Dziga Vertov, L’uomo con la macchina da presa (Человек с киноаппаратом), 1929.

Nel 1929 Dziga Vertov realizza il capolavoro d’avanguardia L’uomo con la macchina da presa che restituisce la vita di una metropoli – in realtà sono più città – secondo le stesse modalità temporali (ho già descritto il film di Vertov in un articolo pubblicato in L’Architetto.it n. 16, maggio 2014).

King Vidor, La folla (The Crowd), 1928.

La folla (The Crowd), ultimo film muto del 1928 di King Vidor (scenografie di Cedric Gibbons), è “un’amara parabola sul sogno americano che, per tematica e forma, si distacca nettamente dal cinema hollywoodiano del periodo” (Il Morandini).
Racconta la vita di un personaggio illuso dal sogno di grandi successi e punito dalla realtà spietata di una metropoli: New York. Gli spazi e la città sono filmati con inaspettate invenzioni linguistiche, sperimentali e all’avanguardia per l’epoca. Spettacolari viste della metropoli in avvicinamento dal mare, viste a volo d’uccello, folla e traffico delle strade con immagini sovrapposte, sequenze di treni in movimento che entrano nelle stazioni…
Una sequenza mirabile è costituita dalla macchina da presa che riprende un grattacielo dal basso, sale verso l’alto lungo il prospetto, si ferma, ruota di 90° perpendicolarmente al ripetitivo disegno della facciata inquadrata in dettaglio, individua una finestra ed entra svelando uno spazio enorme, l’ufficio: una sorta di hangar con scrivanie a perdita d’occhio perfettamente ordinate secondo una griglia ortogonale.
Da ricordare anche la sequenza del protagonista bambino che resosi conto della morte dei genitori, sale la scala di casa che si trasforma in una sorta di cunicolo onirico. Notevoli sono anche le riprese delle donne conosciute dal protagonista e da un collega che ambiguamente salgono una dinamica scala a chiocciola dell’autobus a due piani, riprese dal basso verso l’alto.
La sequenza finale inizia con il primo piano dei volti dei protagonisti che assistono a uno spettacolo; la macchina da presa si allontana progressivamente verso l’alto e in direzione dello schermo inquadrando il pubblico che ride continuamente trasmettendo sensazioni inquietanti e oniriche.

Francis Thompson, N.Y., N.Y., 1958.

Jakov Aleksandrovič Protazanov, Aélita (Аэлита), 1924.

N.Y., N.Y. A Day in New York, realizzato da Francis Thompson nel 1958 – girato dal 1949 al 1957 – è considerato un capolavoro di sperimentazione cinematografica. Propone una serie di sequenze di parti urbane filmate con particolari tecnologie, fotocamere, specchi, caleidoscopi e altre attrezzature che producono immagini astratte. Serie di luci riflesse nell’acqua, ponti ed edifici moltiplicati o “decostruiti” quasi fossero esplosi, strutture deformate da obiettivi grandangolari, frammenti disarticolati e sovrapposti, immagini di architetture accostate quali fotomontaggi irreali, luci di finestre e persiane che si moltiplicano. Le persone e gli oggetti di alcune case si muovono e sovrappongono determinando una percezione alterata, i movimenti delle persone sono frammentate dal movimento stesso, i grattacieli si sfaldano nelle nubi, la folla ripresa dall’alto assomiglia a una serie di onde in movimento, le figure riflesse su specchi deformanti ricordano le deformazioni di Dalì, i grattacieli sono raggruppati irrealmente come mazzi di fiori, i frammenti di architetture sono accostati e ripetuti a determinare anomali fiori, figure zoomorfe o vegetomorfe; scritte, numeri e simboli sono accostati in rapide sequenze, esplosioni di luci sono composte con modalità astratta, strumenti musicali si deformano e scompongono al ritmo della musica, e così via….

Accenno brevemente in coda ad altri tre film dei quali ho già scritto in altra sede (in: L’Architetto.it n. 42, ottobre 2016).
Aélita (Аэлита) film muto del 1924 diretto da Jakov Aleksandrovič Protazanov, tratto dall’omonimo romanzo di Aleksej N. Tolstoj, girato con grande dispendio economico e di mezzi e giudicato negativamente dalla critica, è di fatto il primo grande film di fantascienza sovietico. Notiamo la contrapposizione tra la città di Mosca reale e la città marziana restituita da una scenografia in parte cubista e costruttivista con dirette influenze dall’espressionismo tedesco.

René Clair, Parigi che dorme (Paris qui dort o Le Rayon de la mort), 1925.

Parigi che dorme (Paris qui dort o Le Rayon de la mort) è il primo film (muto) di René Clair del 1923, uscito nel 1925 – protagonisti la Tour Eiffel e Parigi immobile e addormentata a causa di uno strano esperimento di un goffo scienziato – proposto con la consueta leggerezza di Clair.

William Cameron Menzies, La vita futura (Things to Come), 1936.

La vita futura (Things to Come) del 1936 di William Cameron Menzies, tratto dal romanzo di Herbert George Welles, racconta il futuro distopico dell’umanità, alla vigilia di una guerra mondiale, dal 1940 al 2036: una risposta al film Metropolis. La scenografia, che unisce immagini di Londra – la città di Everytown – a quelle della città futura, è curata dallo stesso regista con Vincent Korda. L’artista László Moholy-Nagy cura alcune vedute della città futura che compaiono però nel film solo per una manciata di secondi.