“La stabilità non è sempre una virtù per l’architettura. Il nostro mondo dinamico è modellato dall’incessante ribollire di sconvolgimenti politici, fluttuazioni economiche, riforme sociali, cambiamenti climatici e innovazione tecnologica, che fanno dell’inerzia dell’architettura la sua responsabilità. Perché l’architettura dovrebbe restare ferma?”, Diller Scofidio + Renfro.
Partendo da questo assioma, il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo presenta una mostra che indaga il movimento come proprietà intrinseca dell’architettura e come punto di contatto con l’arte, la tecnologia, le dinamiche sociali. Curata e con l’allestimento progettato dallo stesso studio DS+R newyorkese, l’esposizione romana Architettura instabile. Diller Scofidio + Renfro si articola attraverso un gioco di performance cinetiche, coreografie di spazi e architetture mobili, robotiche e dinamiche, ampliando il significato dell’architettura oltre la triade vitruviana di stabilità, utilità e bellezza, e mettendo in discussione proprio il concetto di firmitas.
The Shed di Diller Scofidio + Renfro, New York, 2008-19. Foto: ©Iwan Baan, Courtesy Diller Scofidio + Renfro.
In questo viaggio, il movimento si rivela essenziale per un’architettura che interagisce e reagisce, adattandosi ai bisogni umani e alle trasformazioni ambientali. La stessa installazione è una coreografia “cinetica”: un sistema di tende che si muove in sincronia con immagini e suoni, riconfigurando gli spazi e creando continui stimoli visivi.
Attraverso ventisei opere paradigmatiche selezionate, organizzate in quattro sezioni – mobilità, adattabilità, operabilità ed ecodinamismo (mobility, adaptability, operability, ecodynamism), – la mostra presenta i molteplici volti di un’architettura “instabile” che abbraccia il movimento come principio di trasformazione.
Veduta della mostra. Foto: ©Vincenzo Labellarte.
La sezione dedicata alla mobilità esplora edifici in grado di trasferirsi fisicamente, sia che debbano spostarsi per evitare la demolizione, sia che vengano trasportati altrove per scelta: una fluidità che consente all’architettura di accompagnare i suoi abitanti, offrendo spazi e rifugi temporanei ovunque siano necessari. Tra i progetti figurano il visionario Mobile Büro (1969), ufficio gonfiabile di Hans Hollein, concepito come uno spazio di lavoro trasportabile, l’Instant City del gruppo inglese Archigram (1970), e l’Ark Nova Concert Hall (2013), una sala da concerto gonfiabile progettata da Arata Isozaki e dall’artista indiano Anish Kapoor.
Instant City di Archigram, 1970. Collection Frac Centre Val de Loire.
L’adattabilità, seconda categoria della mostra, riguarda edifici in grado di riconfigurarsi per assorbire innovazioni tecnologiche o rispondere a cambiamenti sociali. I progetti selezionati riflettono questa flessibilità con esempi come il Padiglione Italia per l’Expo Osaka ’70 di Maurizio Sacripanti, l’incompiuto e celebre Fun Palace (1964) di Cedric Price, The Shed (2019) di Diller Scofidio + Renfro e la capsula originale della Nakagin Capsule Tower (1970) di Kisho Kurokawa, esposta in piazza Alighiero Boetti di fronte al museo.
Veduta della mostra. In primo piano Nagakin Capsule Tower di Kisho Kurokawa, Tokyo, 1970. Foto: ©Vincenzo Labellarte.
Nella sezione dedicata all’operabilità, l’architettura è interpretata come una macchina viva, che risponde ai bisogni dei suoi utenti adattando superfici e strutture per migliorare la qualità della vita. Opere come la prigione rotante della contea di Montgomery (1882) di William Brown, l’Istituto Sociale Centrale (1937) di Praga, progettato da Ferdinand Ludwig, František Libra e Jiří Kan, e la Maison à Bordeaux di OMA (1998), si configurano come esempi di edifici in grado di evolvere secondo le necessità dei loro abitanti, rivelando una “reattività” architettonica che supera le convenzioni.
Fun Palace di Cedric Price, Londra, 1964. Foto dell’allestimento: ©Vincenzo Labellarte.
Infine, l’ecodinamismo presenta un’architettura che si sintonizza con il clima e gli elementi naturali: piuttosto che opporsi alla natura, queste strutture vi dialogano, interagendo con l’ambiente circostante. Tra i progetti spiccano la Villa Girasole (1935) dell’ingegnere Angelo Invernizzi, concepita per rivolgersi verso il punto cardinale preferito, il sole o l’ombra, per offrire comfort climatico, l’Institut du Monde Arabe (1987) di Jean Nouvel, Gilbert Lèzenes, Pierre Soria e Architecture Studio, con la sua facciata dinamica che risponde alla luce solare, e il Progetto di ombreggiamento della Medina (2010) dello studio SL Rasch GmbH Special & Lightweight Structures.
Villa Girasole di Angelo Invernizzi, Marcellise (Verona), 1929-35. Foto: ©Vincenzo Labellarte.
Ad accompagnare la rassegna, un volume bilingue di 144 pagine, edito da Forma Edizioni e curato da Pippo Ciorra e Maddalena Scimemi, offre un’indagine più ampia sul movimento in architettura e arte e sul contributo specifico di DS+R a questo approccio. La pubblicazione non solo documenta i 26 progetti in mostra, ma esplora il movimento come elemento autonomo nella pratica spaziale, arricchita da un vasto apparato iconografico e da una raccolta di testi che vanno dall’antichità all’epoca contemporanea.
In occasione della mostra, il MAXXI ha organizzato una serie di eventi, tra cui un incontro con Elizabeth Diller sul lavoro dello studio DS+R e sull’idea di “architettura cinetica”. Seguiranno incontri interdisciplinari che metteranno in relazione l’architettura con altre forme di movimento creativo, come cinema, danza e moda.
La mostra Architettura instabile rappresenta anche una preziosa occasione per il museo di arricchire il patrimonio della propria Collezione di Architettura con il progetto The Shed di Diller Scofidio + Renfro e la capsula della Nakagin Capsule Tower di Kisho Kurokawa, in perfetta coerenza con il programma di acquisizioni del MAXXI.