Alla fine degli anni Trenta Giuseppe Pagano nota i lavori di Ravasi, premiato per pittura e scenografia ai Prettoriali dell’arte, e lo invita a collaborare presso il suo studio, alla mostra di Leonardo – sezione dell’anatomia e dell’ottica – allestita alla Triennale di Milano nel 1939, e alla rivista “Casabella”. L’esperienza si interrompe con la morte di Pagano.
La sua opera, spesso paragonata a quella di Scarpa, Gardella, Albini e BBPR, soprattutto per quanto concerne gli allestimenti museali, è poco conosciuta e sottovalutata dalla critica nonostante Marisa Dalai Emiliani affermi “non sono poche le figure emergenti di architetti – Franco Albini, Ignazio Gardella, i BBPR o, più appartato, Bruno Ravasi – che si incontrano accanto a quella in primo piano di Carlo Scarpa” (M. Dalai Emiliani, “Musei della ricostruzione in Italia, tra disfatta e rivincita della storia”, in: Carlo Scarpa a Castelvecchio, mostra a cura di L. Magagnato, Milano 1982).
Ravasi lavora soprattutto a Varese specializzandosi nell’ambito del restauro e ottiene riconoscimenti anche per la sua attività pittorica e artistica, nonché per il design. Egli si occupa già negli anni Cinquanta di interventi in immobili storici e di problemi metodologici relativi al restauro e alla conservazione. La sua attività progettuale, oltra al restauro, spazia dagli edifici sacri alla residenza, agli edifici ospedalieri, industriali, artigianali, commerciali, sportivi, agli arredamenti, al design.
Nel 1953 inizia la collaborazione presso il Castello Visconteo di Pavia che prosegue per quasi tre decenni determinando un rapporto privilegiato e unitario tra il progettista e il monumento storico, realizzando i migliori esempi di allestimento non solo a Pavia ma anche a livello internazionale.
Allestimento della sezione del Romanico (Sale VII, VIII, X, XI), 1950-54. Schizzo di studio della pianta di un salone, Musei Civici Pavia.
Il lungo lavoro al Castello instaura un rapporto progettuale continuo e unitario nonostante le controversie in fase di realizzazione, portando a termine numerosi allestimenti e un innovativo progetto di ampliamento purtroppo non eseguito. A questo proposito Adriano Peroni, all’epoca direttore dei Musei Civici del Castello, in alcuni scritti riassume l’iter difficoltoso dei progetti di Ravasi.
L’allestimento della sezione del Romanico prevede soluzioni che prefigurano e anticipano l’allestimento museale al Castello Sforzesco di Milano dei BBPR.
Alcune foto d’archivio dei Musei Civici ci informano dello scrupoloso metodo di progettazione adottato dal Ravasi, soprattutto nelle sale del romanico: posiziona negli spazi espositivi gli elementi da esporre, simula vetrine e setti con sagome a dimensioni reali e la posizione delle opere disegnata sulle superfici, predispone grandi modelli al vero delle sale con l’inserimento dei frammenti lapidei e dei relativi supporti. Assai interessanti anche le foto di cantiere nelle quali si vede il sistema di supporto dei grandi portali o gli elementi in ferro a sbalzo che sorreggono i setti sospesi.
Oltre alle opere di seguito elencate, Ravasi redige anche i progetti di riforma della portineria sud e del cancello in ferro dello scalone che collega il loggiato al secondo piano.
Allestimento della sezione del Romanico (Sale VII, VIII, X, XI), 1950-54
Il progetto può essere considerato uno dei migliori esempi di allestimento museografico del Moderno italiano e si colloca a ragione nell’ambito dei più importanti allestimenti realizzati negli anni ’50 da Franco Albini, Carlo Scarpa e BBPR e mostra particolari affinità con l’esempio dell’allestimento museale al Castello Sforzesco di Milano realizzato pochi anni più tardi, nel 1956, dai BBPR. Alcune soluzioni permettono una lettura completa e composita degli oggetti esposti: una complessa e raffinata composizione degli spazi e dei percorsi, unitamente a un innovativo uso dei materiali quali il laterizio a vista, il ferro e il cristallo; determina ambienti che fluiscono uno nel successivo con un marcato dinamismo che alterna sosta e movimento, vista diretta e di scorcio.
Ravasi scompone e ricompone lo spazio delle sale del castello utilizzando bassi setti in laterizio a vista, appoggiati a terra o sospesi, con giaciture sempre ruotate rispetto alla griglia ortogonale delle sale; capitelli, colonne, archi, frammenti decorati sono sospesi con supporti metallici alle nuove pareti, in aggetto o semi sporgenti all’interno di nicchie.
I paramenti murari in tavelle di cotto hanno spesso prospetti doppi contrapposti, distanziati per mezzo di parti intonacate in sottosquadro: quinte che inglobano anche vetrine – in alcuni esempi a bucature passanti con doppie vetrine sulle fronti opposte – e superfici intonacate finalizzate all’esposizione dei frammenti.
Sono esposti anche portali ricostruiti di antiche chiese pavesi, capitelli isolati con basamenti in mattoni o sottili montanti metallici, colonne, paramenti murari: una successione ritmica di figure, oggetti ed elementi che ripropone in un interno la stessa complessità e percezione ritmica di uno spazio urbano.
Veduta attuale, foto dell’autore.
L’ingresso – nell’ala sud a destra entrando nell’androne di ingresso – è sottolineato all’interno da un basso portale in travertino e da un ripiano aggettante lapideo rivestito da una lastra in vetro, sostenuto da una trave longitudinale le cui estremità si incastrano su un setto in laterizio e su un setto posizionato di fronte all’ingresso definito da una superficie in travertino verso l’ingresso stesso. La soluzione permette al visitatore di osservare uno scorcio del salone mentre il suo percorso è deviato dal setto, con giacitura leggermente ruotata, verso la direzione opposta corrispondente al percorso principale.
Un disegno planimetrico del primo salone con inserti a mano libera, fasce acquerellate che indicano la direzione del flusso di percorrenza e segni che sottolineano i punti principali di osservazione e la rotazione della giacitura degli elementi espositivi, ci informano dell’attento, meticoloso e innovativo studio praticato dal Ravasi.
Un ulteriore elaborato planimetrico di studio con segni a mano libera in rosso e blu in cui i punti di vista sono collocati lungo un asse centrale longitudinale che incrocia i percorsi sinuosi del visitatore; i coni visivi ruotano circolarmente nello spazio a inquadrare i bassi setti. Ulteriore prova della specifica attenzione e cura espositiva dal lui elaborata.
L’insieme dei citati setti o montanti determina cioè una griglia ortogonale ruotata rispetto alla stereometria dei saloni ed elimina la percezione degli angoli retti dei saloni stessi. Ravasi riesce a determinare una percezione dinamica e ruotata degli spazi con restringimenti e allargamenti che sottolineano le posizioni di movimento, passaggio, sosta e transizione da uno spazio al successivo.
Le sale successive ospitano mosaici, ampi frammenti di pavimenti provenienti da Santa Maria del Popolo, Sant’Invenzio e Santa Maria delle Stuoie (tutte chiese distrutte); frammenti sia appesi a parete che posizionati a pavimento con ampie porzioni che occupano la parte centrale dei saloni e aggettano rispetto a un massetto sottostante arretrato, delimitate da leggeri e bassi parapetti metallici.
Non sono installati impianti di climatizzazione e di illuminazione artificiale in favore della luce naturale in ragione della natura del materiale esposto. La pavimentazione è realizzata in cocciopesto.
I reperti romanici esposti provengono da importanti chiese ora distrutte, ad esempio dall’antica cattedrale doppia di Pavia, costituita dalle chiese di Santa Maria del Popolo e di Santo Stefano, abbattuta nel XIX secolo per realizzare il Duomo su progetto rinascimentale.
Numerosi capitelli, una porzione di muro con mattoni invetriati provenienti da Santa Maria del Popolo e molti bacini ceramici presenti sulle facciate delle chiese pavesi completano il percorso espositivo.
Capitelli e modanature provenienti da Santa Maria del Popolo sono esposti nelle sale VII e VIII, i resti di Santo Stefano e alcuni lacerti della demolita basilica di San Giovanni in Borgo nella sala IX; i capitelli provenienti da San Giovanni in Borgo nella sala della torre sud-est.
La sala IX è ancora allestita dal Ravasi ma sono stati aggiunti successivamente un portale (Arch. Marco Chiolini) e due vetrine. La sala XII non è progettata dal Ravasi.
Allestimento della Sala Mantegazza (XIV) e Colombina (XIII), 1957-58
L’allestimento della sala Mantegazza accoglie sculture in pietra e lapidi, oltre alla Pietà entro l’edicola del Mantegazza, e ripropone le quinte sospese lungo le pareti che accolgono e incorniciano i reperti, ruotate in pianta secondo giaciture diagonali che determinano le tensioni visive e spaziali che abbiamo visto nell’allestimento delle sale del Romanico. In questo allestimento le quinte sono finite a intonaco bianco in luogo del laterizio con una purezza diafana che esalta i materiali degli oggetti esposti.
Un intervento minimale di grande delicatezza e leggerezza caratterizza la sala della Colombina che esibisce elementi architettonici del Rinascimento in pietra e terracotta: una vetrina incassata nel muro; tre piccole quinte, due leggermente distanziate dalla parete e una ruotata; un esile montante tubolare metallico con piano apicale ligneo sagomato che regge un torso.
Declinazioni di quinte ruotate e sospese alle pareti o appoggiate a pavimento con colonne e capitelli agganciati a sbalzo, sfondati ritagliati che ospitano frammenti lapidei e lastre di pietra inclinate, definiscono l’allestimento della sala Mantegazza. Inoltre una grande vetrina in ferro e vetro – sorretta da una base lapidea con sezione cruciforme, apice smussato e perno cilindrico che sembra permettere una rotazione della vetrina stessa – contiene un piano ligneo sagomato che appare sospeso con oggetti esposti sui lati contrapposti.
Veduta attuale, foto dell’autore.
Vediamo inoltre un capitello agganciato da un sostegno orizzontale metallico con profili ad alette che si apre a tenaglia e si incastra al capitello nelle parti superiore e inferiore.
Ulteriore sorpresa è costituita da una cornice metallica agganciata a un setto con cerniere che permettono la rotazione così che si possono osservare entrambi i prospetti del frammento lapideo: soluzione mutuata dall’Albini di Palazzo Bianco e altri allestimenti.
Le ultime sale dell’ala est presentano notevoli lacerti di affreschi alle pareti. Ravasi adotta un’illuminazione artificiale costituita da un binario ligneo centrale longitudinale sospeso alle catene delle volte con montanti e cavi metallici.
Nella sala dei Mantegazza sono esposte sculture, epigrafi e stemmi dal XIV al XVIII secolo in gran parte attribuite ai Mantegazza e all’Amadeo – che lavorano alla decorazione della facciata della certosa – tra i quali l’iscrizione tombale di Francesco da Brossano, la figura giacente di Ardengo Folperti e due portali, il primo dal monastero di S. Salvatore e il secondo dalla casa Navariani. Opere di Antonio e Cristoforo Mantegazza sono la Pietà proveniente dall’Ospedale San Matteo e una piccola formella con medesimo soggetto.
Allestimento della Sala Casteggio, 1963
Ulteriore raffinata proposta dei bassi setti sospesi con giaciture ruotate rispetto alle pareti adottate negli allestimenti precedentemente descritti è utilizzata nell’allestimento dedicato all’esposizione di ritrovamenti archeologici.
Rarefatte pareti in intonaco si alternano a setti con rivestimento a doghe in legno verticali che ospitano vetrine in cristallo a comporre un delicato equilibrio spaziale. I due setti sospesi, differentemente risolti, sono collocati asimmetricamente e lateralmente alla parete con finestra; i setti sporgono dalla porzione portante retrostante in sottosquadro a evidenziare la sensazione di leggerezza. La soluzione determina una concavità verso la finestra che definisce lo spazio asimmetricamente: il visitatore che entra dall’ingresso sfalsato percepisce lo spazio con una tensione dinamica che si contrappone alle pareti stereometriche della sala.
Veduta attuale, foto dell’autore.
Differente nei setti è la disposizione delle vetrine in cristallo con raffinato telaio metallico e illuminate da diffusori interni: orizzontali, con differenti dimensioni e in linea in un setto, mentre una verticale e la seconda orizzontale nell’altro setto. L’interno delle vetrine ha la parete di fondo in intonaco e quelle laterali in legno.
Una irregolare piattaforma in cemento, ruotata e a pianta rettangolare con un angolo tagliato diagonalmente, è collocata al centro della sala: è apparentemente sospesa nel vuoto in quanto molto aggettante rispetto al basamento centrale e mostra alcuni elementi ricostruiti provenienti dalla necropoli romana di Clastidium.
Progetto della testata nord dell’ala est, 1968-71
Il completamento della testata nord del Castello Visconteo e il collegamento tra i piani funzionalmente molto semplice – ovvero aggiungere una rampa di scale, un ascensore e i servizi igienici – architettonicamente costituisce uno dei temi più difficili che un progettista possa affrontare. Ravasi deve risolvere la testata inserendo un volume nuovo e riconoscibile in un monumento antico ineguagliabile per bellezza e dimensioni, evitando mimetismi di sorta. Le lame che compongono i volumi sono accostate e separate da stretti e alti tagli risolti con serramenti in ferro e cristallo che determinano viste di scorcio verso l’esterno.
I primi studi di progetto risalgono al 1963. Il progetto, approvato dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti nel 1972, non è mai stato realizzato a causa di dissensi inconsistenti, in seno all’Amministrazione Comunale, relativi a un intervento “moderno” su un manufatto antico. Ravasi progetta un intervento misurato e riconoscibile e compone lame verticali di cemento a vista con tessitura a vista dell’impronta dei casseri in legno. I volumi si assottigliano salendo di quota.
Fotomontaggio, vista da ovest, Musei Civici Pavia.
Il piano terra verso il piccolo spazio a nord ospita un atrio con vetrata in cristallo temperato e telaio metallico, cancello estensibile, copertura a verde e soletta a sbalzo che ripara una scaletta con gradini in granito bianco di collegamento con il piano della corte stessa.
L’atrio conduce dal portico alla zona definita da due volumi sporgenti che contengono la rampa principale di scale di accesso al primo livello (Pinacoteca), i servizi igienici e l’ascensore. Volumi separati da uno stretto taglio vetrato verticale e conclusi da una copertura inclinata.
Il volume che ospita servizi e ascensore si appoggia a terra mentre il secondo contenente la rampa di scale, è aggettante sorretto da una struttura in putrelle metalliche a vista. La distribuzione verticale prosegue dal secondo ammezzato con l’ascensore e una scala minore nascosta tra ascensore e muro di confine del castello verso il fossato. L’ascensore prosegue fino in sommità collegandosi con la copertura del volume antico del castello contenuto in una sorta di torre in cemento a vista.
Carlo Emilio Aschieri, autore di un controverso restauro del castello, nel 1934 progetta una proposta di addizione alle testate nord di carattere mimetico e storicamente inadeguata con corpi in mattoni a vista; la proposta è rielaborata e parzialmente realizzata nel 1963 nella testata nord ovest in seguito sopralzata secondo una patetica soluzione realizzata dall’ufficio tecnico comunale. L’addizione alla testata nord est è stata in seguito realizzata dagli architetti Enrico Sacchi e Marco Chiolini.
Allestimento della Pinacoteca Malaspina, 1977-80
La Pinacoteca Malaspina, divisa in Pinacoteca Antica e Pinacoteca del Seicento e Settecento, occupa il primo piano nobile dell’ala est e metà di quella sud e comprende opere di Giovanni Bellini, Antonello da Messina, Foppa e Bergognone.
Ravasi si occupa anche del restauro delle sale che prevede il risarcimento dell’intonaco, il restauro dei lacerti di affreschi, la posa di una pavimentazione in cotto e una leggibilità completa dello spazio interno.
L’allestimento è risolto da un sistema modulare di telai in ferro verniciato, singoli o accoppiati e composti in successione al centro delle sale, che sorreggono i pannelli in materiale sintetico per l’esposizione di dipinti o teche orizzontali. I telai sono dotati di un sistema di illuminazione a coronamento e sono bilanciati da un basamento in lastre di granito prealpino. I pannelli sono realizzati in laminato plastico ininfiammabile spesso 8 mm agganciati tra loro con rivetti. I telai con pannelli, singoli o doppi, occupano la fascia centrale dei saloni e sono posizionati in asse o lateralmente rispetto all’asse longitudinale. I dipinti di maggiori dimensioni sono appesi alle pareti. Il sistema di illuminazione dei telai è costituito da un carter in duralluminio ossidato, bianco argento all’interno e in colore grigio ardesia all’esterno; il carter ha sezione a S asimmetrica con alloggio della lampadina nella concavità maggiore.
Veduta dell’epoca, Musei Civici Pavia.
I dipinti devono essere protetti dalla luce naturale e di conseguenza Ravasi adotta un’illuminazione artificiale costituita da un binario centrale longitudinale sospeso su cavi metallici ancorati alle catene delle volte con attacchi, prese e collegamenti volanti. L’illuminazione naturale è controllata – originariamente da un telo parasole in tela di canapa grezza agganciata con corde a bottoni in ottone fissati sul telaio metallico – da veneziane a lamelle applicate ai finestroni.
Ravasi realizza anche le porte in cristallo verso il loggiato, il dettaglio del sistema di attacco dei quadri, vetrine a doppia faccia vetrata incassate nelle pareti trasversali ed elementi metallici aggettanti che sostengono elementi di pregio.
L’allestimento è completato da una panca con montanti e struttura in tubolare di acciaio a sezione circolare, base dei montanti in acciaio che si allarga a formare un piede con tacco in legno e seduta sagomata in massello di noce scuro.
Ravasi disegna anche telai simili a quelli espositivi dotati di pannelli, ripiani e contenitori orizzontali, con funzione di bancarelle di ricezione contenenti cataloghi, pubblicazioni e materiale fotografico. L’umidificazione è ottenuta utilizzando apparecchi mobili.
Sala del Modello ligneo del Duomo, 1981
(con A. Ferrari)
Il modello ligneo del Duomo di Pavia, uno dei più grandiosi modelli lignei rinascimentali ancora conservati proveniente dalla Fabbriceria della Cattedrale e realizzato da Giovan Pietro Fugazza a partire dal 1497, è collocato nella sala della torre sud-est.
Il modello è posizionato al centro e diagonalmente rispetto alla sala: appoggia su una struttura metallica a cavalletti, due allineati longitudinalmente sotto la navata e quattro ruotati di quarantacinque gradi in corrispondenza del transetto e dell’abside.
La struttura metallica è costituita da una trama ortogonale di putrelle posizionate con le alette verticali che si incrociano nei punti di appoggio dei cavalletti. Le porzioni di putrelle a sbalzo nella zona retrostante sono collegate diagonalmente da ferri con profilo a T rovesciata. La struttura è verniciata con un colore rosso intenso.
Veduta attuale, foto dell’autore.
La torre è collocata a sinistra della cattedrale sorretta da un cubo trasparente ruotato di quarantacinque gradi rispetto alla torre stessa e appoggiato a una vaschetta metallica sporgente rispetto l’appoggio al suolo. In un angolo del salone è posizionato un ulteriore elemento espositivo metallico che sorregge il modello ligneo eseguito sulla base dei disegni di Carlo Amati ispirati dal Marchese Malaspina: è costituito da un montante centrale a sezione circolare con lame in ferro a croce alla base e piccole alette perpendicolari che fungono da appoggi. Il montante sorregge piatti disposti a X secondo le diagonali del rettangolo sui quali è posata una sorta di bacinella rettangolare. L’illuminazione diffusa è garantita da una rotaia appesa a cavi metallici. La sala è completata da una struttura reticolare in tondino di ferro appesa a una parete che permette l’aggancio di pannelli informativi o disegni e stampe relativi alla cattedrale.
Un recente allestimento ha nascosto l’opera di Ravasi.
Rastrelliera per quadri nel deposito, 1976
La rastrelliera è costituita da una struttura metallica dipinta in colore bianco fissata a terra con telai controventati agli angoli e supporti diagonali e aggettanti superiormente a costituire binari di scorrimento dei telai mobili a supporto dei dipinti. I telai mobili posizionati in serie hanno la medesima conformazione di quelli fissi ma sono dotati di ruote per lo scorrimento al fine di poterli estrarre, e dotati nella porzione centrale di una rete elettrosaldata sulla quale i dipinti possono essere appesi con infinite possibilità. Un riferimento per Ravasi è sicuramente costituito dalle rastrelliere di Palazzo Rosso a Genova di Franco Albini.
Veduta dell’epoca, Musei Civici Pavia.
Biografia
Bruno Ravasi nasce a Varese nel 1911. Si diploma al Liceo Artistico di Brera a Milano e nel 1935 si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano ove si laurea nel 1958. Ravasi nutre una passione precoce per l’arte con le prime esperienze di pittura e scultura, che manterrà per tutta la vita, e architettura presso lo studio dell’ingegner Lucchina. Alla fine degli anni Trenta Giuseppe Pagano nota i lavori di Ravasi e lo invita a collaborare presso il suo studio e alla rivista “Casabella”. Nel dopoguerra opera a Milano con Vermi, Mozzoni e Ghidini. Dal 1949 è nominato responsabile del progetto d’allestimento della I e II rassegna Internazionale di Scultura contemporanea presso i Giardini Estensi di Varese. Nel 1953 inizia la decennale collaborazione presso il Castello Visconteo di Pavia. Muore a Varese nel 1978.
Opere principali
A Varese realizza la chiesa di S. Grato a Bobbiate e segue i lavori di restauro del battistero, delle chiese di San Vittore, San Martino, San Giuseppe, Sant’Antonio alla Motta e Santo Stefano Bizzozzero; restaura inoltre il Palazzo Vescovile a Piacenza e avvia studi e rilievi sul complesso delle cappelle del Sacro Monte di Varese.
Bibliografia
U. Bicchi, Sala dei Mantegazza, Pavia 1958.
A. Peroni, Museo Archeologico. La sala di Casteggio, Pavia 1963.
A. Peroni, “La nuova ‘sala di Casteggio’ nel Museo Archeologico del Castello di Pavia”, in: Musei e Gallerie d’Italia, anno VIII n. 20, maggio-agosto 1963.
A. Peroni, Pavia. Musei civici del castello visconteo, Calderini, Bologna 1975.
S. Colombo, A. Guerzani, Bruno Ravasi, mostra a cura del Gruppo Cavedra, Varese 1978.
A. Peroni, “La Pinacoteca Malaspina nel Castello Visconteo. Dal restauro incompiuto al progetto mutilato: l’opera di Bruno Ravasi”, in: Pavia. Pinacoteca Malaspina, Milano 1981.
M. Dalai Emiliani, “Musei della ricostruzione in Italia, tra disfatta e rivincita della storia”, in: Carlo Scarpa a Castelvecchio, mostra a cura di L. Magagnato, Milano 1982.
AA.VV., Museo in Rivista, Notiziario dei Musei Civici di Pavia, n.1, 1998.
AA.VV., Bruno Ravasi, catalogo della mostra, Liceo Artistico A. Frattini, Varese, 2002.
V. Prina, “Bruno Ravasi al Castello di Pavia”, in: “AL – Mensile d’informazione degli architetti lombardi”, Milano 2002, n. 11.
V. Prina, Pavia Moderna. Architettura moderna in Pavia e provincia 1925-1980, Edizioni Cardano, Pavia 2003.
Gianpaolo Angelini, “Un museo per il medioevo pavese: Bruno Ravasi e l’allestimento della sezione medievale del castello visconteo di Pavia (1948-1957)”, in P.L. Mulas (a cura di), Laboratorio. Attualità delle ricerche sulla storia dell’arte a Pavia e in Certosa, Scalpendi Editore, Milano 2019.