Una nuova chiesa a Milano. Ragioni del progetto e della costruzione
di Angelo Torricelli
Il luogo
L’ambito paesaggistico del progetto, la località Tre Ronchetti nel sud di Milano, è quello della bassa pianura irrigua dove le colture foraggere, cerealicole e risicole si alternano a consistenti frammenti di recente urbanizzazione.
L’area si inserisce in un territorio che presenta gli elementi e i caratteri tipici della pianura padana: dominano la scena le colture intensive, contrastate soltanto dagli agglomerati urbani, dagli insediamenti produttivi, dalla rete stradale.
Il territorio è ordinato da un reticolo relativamente regolare, con un passo di circa 1,8-2 km, che segue la giacitura della pianura in lieve pendenza da nord-ovest a sud-est, attraversato dalla grande strada maestra che dalla città di Milano raggiungeva Ticinum-Pavia, lungo una direttrice ruotata di circa 55° rispetto ai tracciati della centuriazione1.
Veduta dal sagrato. Foto: Stefano Topuntoli.
In seguito alle più recenti trasformazioni, l’attuale configurazione risulta determinata dalla coesistenza di diversi sistemi stratificati.
Sino agli anni Sessanta questo paesaggio appariva ancora ordinatamente diversificato per la presenza di veri e propri ecosistemi naturali, associati a un’economia rurale millenaria, che si configurava nella rete dei canali e della marcita, nelle serie di filari di gelsi e pioppi, nei boschetti lineari di robinia mantenuti al confine delle proprietà, nelle geometriche pioppete industriali e nelle espressioni più selvagge di boscaglia lungo le sponde dei canali, attorno alle teste dei fontanili, sopra le cave abbandonate.
Un progressivo e diffuso processo di trasformazione ha investito il paesaggio originario, di cui oggi permangono soltanto alcuni frammenti ed elementi sparsi2.
Nella zona dove è situato l’intervento, l’erosione della campagna da parte delle espansioni urbane recenti ha definito un fronte riconoscibile dell’edificato residenziale, che delimita nettamente il margine della città.
Oltre questo limite, i sistemi che mantengono ancora una forte identità sono quelli delle acque, delle dimore rurali e delle cascine a corte.
Se a nord-ovest si riconosce un territorio densamente costruito, caratterizzato dagli edifici residenziali del quartiere “Le Terrazze”, a sud est si mantiene un forte legame con il paesaggio agrario.
L’area di progetto si trova entro il Parco Agricolo del Ticinello3, il cui nome deriva dal cavo omonimo, antico corso d’acqua che accoglie le acque del Naviglio Grande; all’interno del Parco si riconoscono complessi a carattere monumentale come l’Abbazia degli Umiliati di Selvanesco, e insediamenti di carattere rurale tradizionale, come le cascine Campazzo e Campazzino.
Pianta dei piani terreni.
Il progetto
Il progetto per il nuovo complesso parrocchiale ai Tre Ronchetti si misura con il paesaggio precedentemente descritto, inteso nella profonda stratificazione di forme, di spazi e di percorsi, a partire da alcuni assunti fondamentali. Innanzitutto rielabora le forme e i caratteri del sistema insediativo tipico di questa zona della pianura; in secondo luogo si colloca al confine fra la città e la campagna, proponendo una nuova polarità che di questa complessa relazione rappresenti i caratteri; infine individua la trama geometrica delle regole dispositive presenti nel territorio, quale criterio per articolare le proprie relazioni con il paesaggio.
La ricerca non si è quindi rivolta aprioristicamente alla forma, ma invece a riconoscere, nell’apparente casualità e arbitrarietà dell’ambiente percettibile, un ordine nascosto e dunque le possibilità inespresse, sulle quali fondare il progetto del nuovo come continuazione “conforme” degli artefatti4.
Nel disegno di impostazione, il rapporto tra lo spazio sacro e l’ambiente circostante viene interpretato a partire dalla collocazione dell’edificio in una zona di margine tra la città e la campagna. Tale circostanza porta in primo piano il confronto tra i due rispettivi ordini e disposizioni planimetriche.
Il sagrato si divarica così dal viale pedonale di bordo del quartiere, mettendo in evidenza e recuperando la giacitura del suolo agricolo, dove le cascine sono orientate secondo gli andamenti dei tracciati centuriali.
Questa scelta risulta decisiva, dato che consente di conferire al sagrato quello speciale carattere, ricorrente nell’architettura milanese, ad esempio a San Marco o a Sant’Eustorgio, dove l’orientazione della chiesa, antecedente e anomala rispetto alla trama urbana, contribuisce a distinguere i sagrati dalle piazze civili, costituendo luogo e spazio di transito alle chiese stesse.
Quasi a tentarne la silloge, l’impianto del progetto si fonda su tre giaciture: quella più antica del suolo agricolo orienta il sagrato e l’edificio a due piani destinato ad accogliere gli uffici parrocchiali, l’abitazione del clero e l’oratorio; l’andamento planimetrico del quartiere residenziale viene invece ripreso dal ‘coperto’, che forma una ‘L’ irregolare con l’edificio precedente, circoscrivendo il cortile per le attività all’aperto; nell’architettura della chiesa, infine, entra in scena anche una terza giacitura rappresentata dagli assi cardinali e in particolare dall’orientamento liturgico est-ovest.
Vista assonometrica della chiesa.
Il disegno degli spazi aperti
La posizione degli elementi esistenti – gli edifici residenziali, il viale pedonale, il giardino centrale del quartiere, il filare di pioppi lungo la roggia – in relazione a quelli del progetto costruisce un paesaggio di frammenti, con un primo asse che intercetta il giardino centrale, il sagrato, una macchia di alberi e si conclude nell’orizzonte finito del filare di pioppi lungo la roggia, mentre un secondo allineamento regola l’accesso al luogo sacro e si conclude nell’orizzonte infinito della campagna.
Lungo il primo asse, il giardino del centro parrocchiale si integra visivamente con quello del quartiere, in modo da raggiungere una dimensione longitudinale complessiva di circa 190 metri.
Nell’altra direzione, lungo l’asse costeggiato dal viale, il suolo declina lentamente verso la roggia, avendo come quota continua di riferimento il livello comune di sagrato e viale. Man mano che si procede verso la chiesa, l’orizzonte ampio della campagna sparisce e il battistero diventa il centro di uno spazio più racchiuso e misurabile.
Le pavimentazioni degli spazi compresi tra gli edifici tentano di raggiungere un obiettivo ambizioso con limitate risorse, confidando nella qualità delle relazioni tra le parti piuttosto che nella preziosità dei materiali. La pavimentazione in graniglia di cemento è scandita da liste di beola e disegna lo spazio del sagrato; la funzione transizionale, che gli è propria, è affidata in gran parte al disegno pavimentale, in cui una direttrice principale scorre lungo l’asse chiesa-battistero, mentre dalle rispettive soglie le lastre in beola sporgono ad attrarre il percorso verso l’interno degli edifici.
Se ne ha tangibile percezione nell’accedere all’ingresso principale attraverso il vestibolo, sormontato sulla soglia da una mezza volta a sezione conica elevata in altezza, successivamente dal soffitto piano schiacciato sopra il portone; varcatolo, la navata principale si solleva catturando la luce zenitale diffusa dalle camere di luce in sequenza.
Vista verso il nartece. Foto: Stefano Topuntoli.
L’architettura della chiesa e del centro parrocchiale
Dal sagrato e da via Fratelli Fraschini si entra nella corte, sulla quale si aprono gli ingressi all’edificio che ospita gli spazi della canonica e dell’oratorio. Esso è caratterizzato dalla sobrietà delle linee orizzontali dei volumi e dall’austerità dei materiali di rivestimento, intonaco e pietra della Lessinia rosa, che definiscono i profili di altezze costanti, comprese entro i 4,15 metri della parte coperta a terrazza e gli 8,25 metri della porzione con tetto a unica falda.
Lo spazio e la dimensione del sagrato vengono conchiusi dalla chiesa, che su di esso affaccia con due volumi tra di loro pressoché ortogonali: il vestibolo anteposto all’ingresso principale e il nartece del battistero.
Il primo, un volume in pietra della Lessinia bianca, fissa la soglia attraverso la quale si accede all’aula assembleare. L’asse liturgico è segnato da una navata alta 13,75 metri, scandita in tredici campate, che si configurano come camere di luce, creando un effetto di illuminazione zenitale. Sulla navata principale, orientata in senso est-ovest, converge ortogonalmente una navata secondaria che segna il percorso dall’altare al battistero e alla cappella feriale, fiancheggiando la sacrestia.
L’impianto canonico delle navate ortogonali viene trasgredito dai tre corpi, sovrastati da lucernai, orientati secondo la giacitura del sagrato, evidenziati all’esterno da tre pareti in pietra della Lessinia rosa, che puntano in direzione delle navate introducendo forte tensione formale nello spazio dell’aula; ma, ancor più, l’impianto ortogonale viene tagliato, nel suo prolungarsi verso nord, dall’edificio della cappella feriale e del battistero, a forma di torre quadrata, sulla quale aggetta a sbalzo il castello di acciaio che sorregge le campane. Esso assume il ruolo di segno verticale dell’evidenza del luogo sacro, visibile da tutti i principali percorsi e assi visuali del quartiere, sia in virtù della sua altezza, sia in ragione della sua collocazione planimetrica.
Piante a diverse quote della chiesa.
Più in generale, è l’intera struttura delle navate che si staglia nettamente nel paesaggio, rivolgendo verso la campagna e il giardino la sequenza ritmica dei suoi contrafforti.
L’architettura della chiesa prende così carattere e identità dalla composizione di pezzi autonomi e individualmente definiti entro un montaggio che evoca l’abituale, quanto avvincente, modalità di costruzione delle chiese nel tempo, per successivi innesti e addizioni.
Questa considerazione è il principale motivo ispiratore degli ossimori con i quali l’opera, nella fusione di opposti o contrasti, tenta di rapportarsi al tempo. L’idea che una chiesa non possa che essere sia attuale, sia antica deriva dalla consapevolezza che le forme sono intrise di memoria, sono la sintesi di alternative depositate e stratificate nel corso della storia.
All’austera elementarità di pezzi, che caratterizzano la morfologia della fabbrica, si rende coerente la scelta dei materiali. Il corpo d’ingresso-vestibolo della chiesa è rivestito in lastre di pietra della Lessinia sabbiata, con il contrappunto della pietra Serena a spacco naturale del grande pilastro. La facciata laterale e il nartece, anteposto e avvolgente la torre del battistero, sono in masselli di pietra della Lessinia a spacco di cava, alternati a fasce grigie di intonaco-graniglia. La pavimentazione esterna del vestibolo è in beola fiammata fino al portone principale. Di qui si apre il piano interno della chiesa in pietra della Lessinia spazzolata, listata da fasce di pietra Serena, con la quale è pavimentata l’area presbiteriale.
Vista d’angolo dal sagrato. Foto: Stefano Topuntoli.
I poli liturgici
L’impianto liturgico5 scaturisce da un gioco di polarità che intendono favorire e sostenere dinamiche proprie del rito cristiano. Sotto il profilo del disegno generale, si ripropone la polarità tra assemblea eucaristica e spazio battesimale, per cui il battistero è un edificio a sé stante corredato di nartece e aperto, al suo interno, verso la cappella feriale; il fonte in pietra, semisferico, poggia sul pavimento ribassato di tre gradini, ed è illuminato dall’alto. Dal punto di vista della drammaturgia liturgica, esso può rappresentare uno dei poli di possibili percorsi interni all’azione rituale, oggi pressoché repressi da edifici ecclesiali sostanzialmente monospaziali6. L’edificio del battistero si articola alla grande aula assembleare attraverso itinerari di transito e luoghi di soglia discretamente ampi; parte di essi è l’area penitenziale, che si trova perciò a essere contigua sia all’aula eucaristica che al battistero.
La grande aula assembleare è caratterizzata dalla disposizione non convenzionale dei fedeli. Spezzata e asimmetrica, essa tenta di non ridursi ad una posizione puramente frontale e teatrale7.
La polarità altare/ambone non è soltanto retoricamente affermata, ma anche spazialmente effettiva. Il luogo della parola, proteso verso l’assemblea, istituisce un’efficace polarità con l’altare posto sul presbiterio rialzato. L’altare e l’ambone sono naturalmente costruiti con gli stessi materiali, la pietra bianca della Lessinia e il Nembro rosato. La loro forma e posizione sintetizzano gli elementi simbolici che la storia spirituale del cristianesimo vi ha stratificato.
La parete di fondo del presbiterio è segnata dalla grande croce in vetro che si incide nella pietra Serena, posata in lastre a spacco di cava secondo corsi orizzontali di spessore variabile. Il luogo della riserva eucaristica si trova alla sinistra del celebrante, in una piccola cappella, un’ansa molto intima, separata dall’assemblea da una balaustra che lascia alle sue estremità due vie di accesso.
Complessivamente questa disposizione dei luoghi liturgici è pensata per favorire la dinamicità rituale della liturgia, per attivare reali percorsi drammaturgici, per farsi carico di una maggiore attitudine performativa: ogni passaggio rituale qui deve per forza avvenire mediante movimenti effettivi, ai quali corrisponde lo stesso disegno della pavimentazione, nella quale le liste e i gradini in pietra Serena si stagliano sulla pietra della Lessinia rosa.
Vista interna dell’aula. Foto: Stefano Topuntoli.
Il progetto esecutivo
Completamente elaborato all’interno dello studio, il progetto esecutivo si è dovuto misurare con i tempi dilatati nei quali sono maturati i processi decisionali e si è compiuta la costruzione.
Sotto questo profilo, la difficoltà maggiore è stata quella di sostenere l’idea originaria nonostante le modifiche e gli adeguamenti che si sono resi necessari; ad esempio l’adozione dei pali di fondazione e la riprogettazione delle strutture portanti, così come la stratificazione delle murature, adeguandole all’evoluzione delle normative sul contenimento energetico.
Rimanendo sostanzialmente immutato l’impianto di progetto, alcuni temi hanno richiesto approfondimenti di rilievo. Tra questi, la luce nella chiesa, quasi totalmente zenitale, diffusa dall’illuminazione naturale e da quella artificiale che la integra, con la sola eccezione delle poche finestre a parete, che rendono percepibili le variazioni nelle diverse stagioni e ore del giorno. Inoltre la consistenza materica, l’aspetto tattile (decisivo nell’esperienza delle chiese durante la loro lunga storia), affidato alla scelta delle pietre e delle modalità di lavorazione e posa, alla consistenza delle graniglie e degli intonaci, agli inserti in acciaio e in calcestruzzo a vista.
Sul tema della materia, in particolare riguardo alla pietra, le decisioni in fase di studio dei dettagli hanno portato alla messa a punto di due differenti registri. Mentre per la facciata del vestibolo, la posa a casellario della pietra sabbiata si conforma all’idea iniziale della composizione di grandi lastre piane, intelaiate secondo una geometria astratta, nelle pareti laterali e del nartece, sul sagrato, l’inserzione della materia (la pietra a spacco naturale) viene esposta in modo “brutale”8, evocando la cava da cui è estratta.
Veduta della chiesa e del “coperto” dal giardino. Foto: Stefano Topuntoli.
Note
1. Le tracce degli insediamenti e degli usi del suolo intorno alla strada che da Milano portava a Pavia possono essere fatti risalire all’epoca romana. L’attuale via dei Missaglia è infatti parte di un sistema che partendo dalla Darsena proseguiva verso Quinto de’ Stampi (toponimo legato ai miliari della strada romana), attraversando i borghi di Chiesa Rossa e Gratosoglio. Certamente la strada attraversava terreni paludosi e boscati, perché le acque di risorgiva non venivano ancora catturate e convogliate dai fontanili, entrati in uso in epoca medievale (“Ronco” nel Medioevo si diceva un luogo disboscato e ridotto all’agricoltura). Ancora al principio del XX secolo di qui passava la “via del riso”, lungo la quale, fin dal tempo degli Sforza, arrivavano per la via Chiesa Rossa, dalle riserie disseminate in buona parete tra Pavia e Milano, i mezzi diretti al mercato di Porta Ticinese. Il territorio era uno dei più fertili d’Italia, lo irrigavano risorgive, fontanili, fossati, in parte derivati dal Naviglio Grande; grazie all’apporto di ottima acqua erano famose le marcite della Chiesa Rossa e dei Tre Ronchetti che davano fino a sette o addirittura nove tagli di erba all’anno.
2. Le trasformazioni di età moderna, legate alle espansioni degli ambiti urbani della città di Milano, non provocarono rilevanti cambiamenti nell’assetto della campagna, salvo la quasi totale scomparsa delle aree boscate diffuse: la città investiva ancora nelle proprie campagne, tanto che vennero ampliate le cascine esistenti, i principali ordinatori dello spazio agrario. Dopo la seconda guerra mondiale, con la diffusione della meccanizzazione agricola, gli appezzamenti vennero ampliati e molti filari di bordo campo abbattuti, diminuendo anche la presenza del prato stabile e della marcita. Ma i mutamenti più sensibili furono il calo degli addetti nel settore e il conseguente abbandono di gran parte delle strutture edilizie destinate alla residenza nei complessi agricoli e nei nuclei rurali. Il grande sforzo della ‘ricostruzione’, solo parzialmente governato del nuovo PRG del 1953, portò alla nascita di interi nuovi quartieri autosufficienti di iniziativa pubblica o privata: Stadera, Missaglia, Chiesa Rossa, Gratosoglio, infine Le Terrazze.
3. Negli agli anni Sessanta, con l’istituzione del piano intercomunale milanese (PIM), si affrontava il problema del coordinamento delle politiche urbanistiche dell’area e contemporaneamente quello della salvaguardia degli spazi aperti per il loro valore produttivo, ma soprattutto per la loro funzione di equilibrio ambientale. Nel 1994 veniva istituito il Parco Agricolo Sud Milano, mentre la travagliata storia del Parco Agricolo Urbano del Ticinello iniziava con il piano di lottizzazione del 1984 e con la Convenzione Urbanistica siglata tra il Comune di Milano e l’immobiliare costruttrice del quartiere “Le Terrazze”. Una serie di varianti al PRG ha dato la possibilità alla società di edificare il quartiere residenziale in cambio della cessione delle aree destinate al Parco del Ticinello.
4. Il concetto di conformità, che Bramante sostenne, in linea con la conformitas albertiana, come criterio guida per risolvere l’incompiutezza del tiburio del Duomo di Milano (Bramanti Opinio Super Domicilium seu Templum Magnum) si riferisce alla necessaria coerenza dell’edificio nelle sue parti, in senso morfologico e costruttivo. Le Corbusier estenderà il concetto stesso stabilendo la grandeur conforme dell’Unité d’Habitation di Marsiglia in termini complessivi: la cellula, l’edificio, la città, quindi l’abitare nelle sue misure e relazioni, nei suoi valori.
5. Per il rapporto tra composizione e liturgia, la relazione è debitrice del decisivo apporto di Giuliano Zanchi.
6. L’abituale fissità dell’impianto deriva, nelle chiese occidentali, dalla progressiva clericalizzazione del culto, con la concentrazione dei poli liturgici su di un’unica piattaforma presbiteriale isolata dal resto dell’aula.
7. Si sostiene in tal modo la necessità di riandare alle origini, che aveva animato, nei primi decenni del Novecento, il Movimento Liturgico e, in particolare, il pensiero e l’opera di Romano Guardini.
8. La chiara distribuzione tra la materia “bruta” e la sua esposizione in modo “brutale” nell’opera d’arte si deve a Cesare Brandi, nel suo saggio intitolato Burri, contributo al catalogo dell’opera di Alberto Burri, a cura di Vittorio Rubiu, Editalia, Roma 1963.