L’esperienza di ogni architetto è tradizionalmente segnata dai viaggi, intesi come momenti fondamentali di conoscenza, di riflessione, di rispecchiamento tra l’idea del progetto e la realtà del luogo. Anche la traiettoria dell’architetto portoghese Fernando Távora (1923-2005) – padre della celebre Scuola di Porto – è punteggiata da molti itinerari, tra loro diversi e lontani nel tempo, che connettono momenti distinti della sua riflessione pedagogica e della sua sperimentazione architettonica. Un viaggio in particolare, però, assume il ruolo di punto di svolta: nel 1960, grazie a una borsa di studio della Fondazione Calouste Gulbenkian di Lisbona, Távora ha occasione di visitare gli Stati Uniti e il Giappone. Una rara esperienza di studio e di ricerca che lo porta a compiere in quattro mesi il periplo del mondo: dopo gli Stati Uniti – da cui si concede una breve “evasione” per visitare il Messico – e il Giappone, infatti, prosegue in Thailandia, Pakistan, Libano, Egitto e conclude l’itinerario in Grecia. L’obiettivo ufficiale della missione per cui riceve il finanziamento è quello di indagare i metodi di lavoro degli enti pubblici e i programmi didattici delle università delle maggiori città nordamericane, focalizzandosi in particolar modo sul ruolo dell’urbanistica e della pianificazione territoriale. Ma nel contesto di un paese oppresso dalla dittatura dell’Estado Novo (1926-1974), il giovane architetto – qui in qualità di docente portoghese inviato a scopo di aggiornamento – è cosciente di come quest’opportunità lo ponga in una condizione privilegiata e, allo stesso tempo, comporti una responsabilità che induce alla ricerca del cambiamento, sempre praticato all’interno della consapevolezza profonda della propria condizione. È senza dubbio questo, anche a detta dell’autore, il viaggio che lo ha segnato di più, che riemerge nelle sue lezioni, nei suoi saggi e persino nella definizione delle successive trasferte.

Fernando Távora, Líbano, Baalbek – Templo de Bacco. Archivio Fernando Távora – Viaggio del 1960 ©Fundação Marques da Silva, Arquivo Fernando Távora.

Per queste ragioni la mostra, che raccoglie più di ottanta disegni di viaggio originali – provenienti dalla Fondazione Marques da Silva dell’Università di Porto – molti dei quali esposti per la prima volta e tutti per la prima volta presentati al di fuori dei confini portoghesi, rappresenta un evento di caratura internazionale e di alta rilevanza nell’ambito degli studi e delle ricerche condotte intorno alla figura del maestro portoghese. I disegni – suddivisi per aree geografiche e supportati dalla completa traduzione, riportata in didascalia, delle annotazioni scritte a corollario – dimostrano come, per Távora, il viaggio sia la “pratica indispensabile” attraverso cui identificare la natura delle forme e ricercare quelle che lui stesso definisce come “le costanti”, nelle quali è inscritta la lezione operativa della storia, intesa come materia di progetto. Nella tensione tra il “passato da osservare” e il “futuro da costruire”, è l’atto di registrare la realtà attraverso il disegno che distingue la competenza dell’architetto e apre per lui la possibilità di perseguire una coerenza profonda tra conoscenza e trasformazione. Difatti per Távora questa forma di “conoscenza integrale”, che supera quella per via esclusivamente intellettuale, rappresenta la messa a punto di un progetto didattico, ma anche, e più in generale, di un modo di intendere il progetto di architettura come forma di resistenza culturale, portato avanti con costanza nell’arco di tutta la sua attività.

Fernando Távora, Thailandia, Bangkok – Vista esterna del Wat Phra Kaew (Tempio del Buddha di Smeraldo). Archivio Fernando Távora – Viaggio del 1960 ©Fundação Marques da Silva, Arquivo Fernando Távora.

Disegnando con l’obiettivo di comprendere civiltà lontane, l’architetto ingaggia al contempo una profonda rilettura delle proprie matrici culturali. Cosicché, nell’atto di aggiornamento che segue alle esperienze condotte nel resto del mondo, coglie l’opportunità di mettere in questione gli stereotipi del riduzionismo e della semplificazione identitaria attuati dal regime, riconnettendo le trame di reciproche influenze, di assimilazioni e rispecchiamenti, di migrazioni ed echi, che hanno caratterizzato la storia culturale portoghese.

Fernando Távora, Thailandia, Bangkok –What Pho (Tempio del Buddha Sdraiato). Archivio Fernando Távora – Viaggio del 1960 ©Fundação Marques da Silva, Arquivo Fernando Távora.

Il lungo viaggio del 1960 dovrebbe prendere le mosse dalla riflessione sul presente e, nel confronto con le più avanzate tendenze internazionali, proiettarsi verso il futuro. Eppure dai disegni emerge come, lungo il suo itinerario, l’architetto senta la spinta verso la ricerca di valori antichi e ancestrali, verso la comprensione della relazione tra uomo e natura, attraverso la costruzione di città, insediamenti, paesaggi e monumenti, che scarta rispetto all’idea di efficienza e di progresso, per concentrarsi nell’obiettivo dell’appropriatezza. Di indole interessato più alle testimonianze arcaiche che alle espressioni di sfacciata modernità, per Távora l’incontro con il mondo statunitense dell’epoca è destabilizzante: da un lato ne apprezza il carattere di laboratorio permanente, ma dall’altro vede i limiti di quella società fondata sulla meccanizzazione dei processi, sull’omologazione delle espressioni e sulla pura soddisfazione delle necessità materiali. In questo riconosciamo il delinearsi di un modo di intendere la cultura e le espressioni artistiche che traccia un pensiero antagonista, incentrato sul riconoscimento e sulla comprensione delle matrici profonde che stanno alla base di una civiltà e delle sue tradizioni, destinate non a permanere sempre uguali a sé stesse, bensì ad articolarsi in un perpetuo rinnovamento.

Fernando Távora, Giappone, Kyoto – sulla strada per il Tempio Chion-In. Archivio Fernando Távora – Viaggio del 1960 ©Fundação Marques da Silva, Arquivo Fernando Távora.

Per questo i disegni esposti mostrano un modo preciso di guardare il mondo, che mentre registra la realtà, identificandone figure, geometrie e ordini sottesi, la sta già rendendo disponibile a una possibile trasformazione. È da rilevare anche la straordinaria qualità tecnica della restituzione delle opere studiate in viaggio dal maestro portoghese. Il rigore di alcuni rilievi, in particolare quelli delle architetture orientali, completati da una serie di precise annotazioni, riporta inevitabilmente alla tradizione del Grand Tour, a conferma dell’imprescindibilità del disegno nella formazione in architettura. Allo stesso tempo, nella mostra sono esposti disegni analitici e modelli interpretativi e di studio realizzati dal Dipartimento di Architettura dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna che, oltre a mettere in luce la relazione tra i disegni di viaggio e i princìpi compositivi che soggiacciono ai progetti di Távora, dimostrano la continuità di un possibile e auspicabilmente praticabile metodo modello all’interno delle scuole di architettura.

Fernando Távora, Giappone, Kyoto – Tempio Chion-In. Archivio Fernando Távora – Viaggio del 1960 ©Fundação Marques da Silva, Arquivo Fernando Távora.

“Faccio collezione di tutto”, amava ripetere l’autore, ma nel suo vasto inventario di libri, oggetti e opere d’arte, provenienti da tutto il mondo, leggiamo la profonda ricerca dell’io nella molteplicità di ciò che lo circonda. Atteggiamento questo che pone autenticamente l’opera dell’architetto portoghese nella linea di continuità tracciata dagli artisti della “Geração de Orpheu”.
“Viaggio per il piacere di conoscere gli altri. E, conoscendo gli altri, conoscere me stesso”, con questa frase i curatori introducono alla visione della mostra, sottolineando l’attitudine che emerge dalle molte pagine del Diario di bordo che Fernando Távora redige nel corso del suo viaggio intorno al mondo tra febbraio e giugno 1960 e che costituisce un compendio fondamentale ai disegni. La sua traduzione integrale in lingua italiana – a cura di Antonio Esposito, Giovanni Leoni, Raffaella Maddaluno – è in corso di stampa per la casa editrice LetteraVentidue di Siracusa.