Già dall’originale formato quadrato extra-large di 36 x 36 cm e dalla vivacità coloristica della copertina – che raffigura l’inconfondibile pavimentazione in gomma “Giallo fantastico” ancor oggi perfettamente conservata all’interno del Grattacielo Pirelli – appare chiaro come l’editore tedesco Taschen abbia compreso a pieno e condiviso l’attualità e l’immensa portata culturale di un’opera monografica pensata per esprimere la sconfinata creatività di Gio Ponti.
Gio Ponti in his studio in via Dezza, with current projects, 1956. Photo ©Gio Ponti Archives / Historical Archive of Ponti’s Heirs.
Un libro non è mai definitivo e il racconto di un protagonista della cultura progettuale italiana e mondiale del calibro di Ponti si presta sempre a continue e rinnovate interpretazioni. Negli ultimi anni si sono susseguite due importanti e approfondite pubblicazioni: una nel 2018, in occasione della mostra di Parigi al Musée des Arts Décoratifs (qui), l’altra nel 2019 per la mostra al MAXXI di Roma (qui), entrambe fondamentali per la qualità e l’originalità dei contributi presenti. Tuttavia fino ad ora un’opera così ampia e dettagliata, con foto inedite e un apparato iconografico così esteso e puntuale non esisteva: il libro, con i suoi oltre 7 kg di peso e i 136 progetti descritti nelle schede di Stefano Casciani, Salvatore Licitra e Lisa Ponti, scomparsa nel 2019, restituisce una ricerca documentale senza precedenti sul patrimonio artistico e architettonico di uno dei più grandi maestri della cultura del novecento, personalità poliedrica che spaziava dall’architettura al design, dall’urbanistica al prodotto d’arredo, dall’arte alla comunicazione.
Coffee table with metal-grid top, 1954. Photo ©Gio Ponti Archives / Historical Archive of Ponti’s Heirs.
La passione con cui Ponti affrontava il proprio lavoro si misura anche attraverso la scelta dell’editore e del curatore di rendere accessibili a tutti i contenuti del libro, al di fuori da ogni preconcetto schematismo accademico. Osservando il modo in cui è strutturato il volume, risulta chiaro come il messaggio pontiano appaia oggi così potente e anticipatore della contemporaneità proprio perché ha le sue radici in un mondo in cui non esisteva il predominio dell’immagine così come siamo abituati a sperimentarlo oggi, nell’era digitale. Eppure quella volontà di dare significati profondi all’arte visiva e quella capacità di considerare la bellezza come il più potente degli strumenti di comunicazione ci consente oggi di scoprire Ponti come non lo abbiamo mai conosciuto prima, a causa di una sostanziale inadeguatezza degli strumenti critici.
Ponti with an early model of the Pirelli Tower, January 1955. Photo © Gio Ponti Archives / Historical Archive of Ponti’s Heirs (Photo Publifoto).
Più che di una riscoperta si tratta di una vera e propria rivelazione che in qualche misura spiega oggi l’attenzione diffusa nei confronti della sua opera. In sei decenni di lavoro Gio Ponti è sempre stato in grado di leggere il contesto storico e culturale che lo circondava, ha mutato con assoluta naturalezza l’immagine della sua architettura e ne ha cambiato sovente i materiali, sperimentando continuamente nuove soluzioni. Ciò che è rimasto immutato in lui è la volontà di essere artista, visionario, di considerare sempre ogni progetto come “opera d’arte totale”, come espressione senza riserve di una profonda e reiterata ricerca del bello. Questa componente vitale, mossa da un’incessante curiosità per il mondo e per le cose, costituisce il nucleo più profondo del suo universo creativo, che si tratti del progetto di una chiesa o di una ceramica, di una maniglia o di un piano urbanistico, di un mobile o di un grattacielo.
Il volume, a cura di Salvatore Licitra – responsabile dell’archivio di via Dezza, dal quale proviene gran parte del materiale iconografico – e con la direzione creativa di Karl Kolbitz, include un ampio saggio biografico di Stefano Casciani.
Interior of the Villa Planchart, Caracas, Venezuela, 1953-57. Photo ©Antoine Baralhe.
L’accostamento tra contenuti e materiali inediti crea nuove corrispondenze culturali che riconfermano l’idea chiave alla base del mestiere di Ponti, vale a dire la volontà di intervenire su ogni aspetto e su ogni dettaglio del progetto, con una forma mentale che può apparire quasi stravagante se considerata alla luce dell’attuale era della specializzazione.
Ampio spazio a questo proposito è dato nel libro ai numerosi progetti per navi, treni, hotel e uffici, casi in cui è più evidente questa attitudine nel passare dalla grande scala al dettaglio minuto e all’oggetto di design: episodi in cui si tocca con mano la sintesi tra le arti di cui l’architetto è fautore, dove gli oggetti d’arredo dialogano naturalmente con la plasticità degli spazi in una visione complessiva di grande effetto ma allo stesso tempo di “elegante semplicità”. Tra gli altri l’hotel Paradiso del Cevedale in Val Martello (1935-37), gli Uffici Montecatini I (1935-38) e II (1947-51) a Milano, l’edificio RAI a Milano (1939-52), i Transatlantici Conte Grande, Conte Biancamano, Giulio Cesare, Oceania, Africa e Andrea Doria (1949-53), gli uffici Vembi-Burroughs a Torino e Genova (1950), l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma (1952-58), gli interni dell’elettrotreno Settebello (1952-59) e lo stesso studio Ponti-Fornaroli-Rosselli a Milano (1952), un’ex autorimessa che ben rappresentava l’idea di un moderno luogo di lavoro open space.
Anche la grande quantità di materiali d’archivio pubblicati per Villa Planchart (1953-57) e villa Arreaza (1954-56), a Caracas, porta alla luce quell’attenzione quasi maniacale per il tema domestico che ha caratterizzato il percorso dell’architetto sin dalle sperimentazioni delle Case Tipiche degli Anni Trenta e che è stato costantemente illustrato nelle pagine di “Domus” e “Stile”, le riviste da lui fondate e dirette.
Infine, l’architettura religiosa, in cui la volontà di considerare fin nei dettagli ogni aspetto del progetto diviene strumento di esaltazione della dimensione liturgica. Ne sono esempio la chiesa di San Francesco d’Assisi al Fopponino (1961-64) e la chiesa di San Carlo Borromeo presso l’omonimo Ospedale (1964-67) a Milano, il convento carmelitano del Bonmoschetto a Sanremo (1957-59) e la Concattedrale Gran Madre di Dio a Taranto (1964-70).
Church of San Francesco d’Assisi al Fopponino, Milan, 1961-64. Photo ©Luca Rotondo.
A conclusione del volume, in sequenza verticale, sono riprodotte le molteplici firme con cui l’architetto siglava i suoi progetti, le sue corrispondenze, i suoi dipinti, le sue ceramiche e i suoi tessuti. Una sorta di omaggio alla dimensione artistica che lo accompagnava anche nel più semplice dei gesti.
Per dare prestigiosa e simbolica collocazione a quest’opera editoriale fuori scala, nella versione Art Edition Molteni&C ha realizzato per Taschen un tavolino da caffè quadrato che costituisce una riedizione di un prototipo presente nella villa Planchart, prodotto in mille esemplari numerati per l’occasione. Dell’edizione speciale fanno parte anche le quattro riproduzioni a stampa con straordinari disegni prospettici di studio degli interni dei transatlantici. Un vero e proprio viaggio nell’affascinante universo di Gio Ponti.