Il problema degli scali ferroviari va posto nell’ambito della Città Metropolitana. Direi anche di più: Milano è il centro di grandi servizi anche per tutta la Regione e ad essa bisogna guardare.
A questo proposito occorre ricordare quale sia la vera dimensione di Milano. Già da tempo i geografi, che non fanno conto dei confini amministrativi, classificano Milano come una città di 7 milioni di abitanti. Milano coordina un vasto insieme d’insediamenti che non hanno nulla di diverso da una grande metropoli se non il fatto che non costituiscono un agglomerato compatto, ma un insieme discreto di città grandi e piccole, strettamente relazionate tra di loro. Città che si sono formate nel corso di una lunga storia, ognuna con una precisa individualità storica e culturale, e non periferie aggregate a un singolo polo. Un sistema strutturato per consentire la più ampia accessibilità.
Le aree degli scali ferroviari sono anche quelle che contengono le stazioni, del passante e della rete ferroviaria di superficie: quindi, le aree più accessibili da tutta la Regione (e ancor più dalla Città Metropolitana) con il modo di trasporto pubblico più veloce. Destinarle alla sola edilizia privata costituisce uno spreco e una distruzione di opportunità future.
La straordinaria opportunità di avere accessi ferroviari nel centro della città principale, disponibili per le più importanti funzioni, una volta sprecata non si potrà mai più ricreare.
Oggi siamo di fronte a un paradosso: in Milano esiste una quantità sempre maggiore di aree pubbliche disponibili per la rigenerazione urbana, altamente accessibili da tutta la Regione, perché situate presso stazioni del passante ferroviario o della metropolitana. Al contempo, molte importanti funzioni pubbliche sono state destinate fuori città, in luoghi meno accessibili, e altre vi sono previste, lasciando queste aree strategiche a destinazioni di generico mix funzionale – a prevalenza residenziale.
È un metodo che a Milano si è già palesato: la Statale spostata da Porta Vittoria (ovvero sopra il passante) a Bicocca (su una linea ferroviaria secondaria); la Città della Salute localizzata a Sesto a mezzo chilometro da una stazione della stessa linea secondaria, unica a non confluire nel passante; le facoltà della Statale (20.000 studenti più il personale) destinate a occupare una parte dell’area Expo, servita sì dal passante, ma proposte nella parte che sta a due chilometri dalla stazione.
Invece in queste aree vanno collocate le grandi funzioni che richiamano le maggiori correnti di spostamento. Se davvero vogliamo che la città metropolitana, con tutta l’area milanese-lombarda, sia la città di tutti i milanesi, il criterio di localizzazione delle grandi funzioni e dei servizi deve essere rigoroso. Deve favorire gli utenti: in luoghi che consentano al più vasto insieme di persone di raggiungere nel modo agevole e diretto il servizio o la funzione cui si rivolgono.
Solo in questo modo, ovvero facendo coincidere i nodi della rete di trasporto con le principali attività e funzioni, si costruisce una grande città equilibrata nel suo sviluppo. Solo in questo modo gli abitanti dei comuni dell’area urbana (non solo della Città Metropolitana, ma anche oltre) saranno “più uguali” ai cittadini milanesi.
Così avviene nelle grandi città d’Europa.
Seguire la strada opposta, ovvero, localizzare le funzioni in base alle sole opportunità immobiliari, disseminare ovunque le funzioni, slegate dalla rete dei trasporti di massa, porta a costruire la città del sottosviluppo.
Milano, con le aree degli ex 7 scali ferroviari in evidenza (da: Accordo di programma “Scali ferroviari”, Commissioni consiliari urbanistica e trasporti del Comune di Milano).
Naturalmente le funzioni andranno localizzate tenendo conto della gerarchia, quindi non saranno tutte in Milano, ma copriranno tutta l’area urbana in ragione del livello e dall’origine degli spostamenti attratti.
A mio parere è urgente che Comune e Regione, insieme − perché il problema non riguarda i soli
milanesi −, fissino la strategia dello sviluppo urbanistico incentrata sulla corrispondenza tra nodi della rete e funzioni, e che queste scelte siano sostenute da un largo dibattito.
Fissata la strategia funzionale e impegnate le aree necessarie, vi sarà ancora molto spazio per l’edilizia privata, molto più di quanto il mercato possa assorbire, e ancora di più per l’edilizia pubblica di cui, al contrario, c’è un enorme bisogno.
Credo che questa questione sia prioritaria, ma ve ne sono anche altre: le quantità edificatorie giudicate eccessive, gli standard, la quantità e qualità del verde, il disegno urbano.
Questi sono temi importanti, purtuttavia sarei disposto a derogarvi parzialmente, purché si costruisca una città che abbia accessibilità giusta, larga, veloce, sul mezzo più idoneo per fornire il collegamento di tutta l’area urbana.
Occorrerà anche guardarsi dai tanti “specchietti per allodole” profusi da chi cerca di orientare il dibattito verso l’acquiescenza ai voleri di FS. Tale era la proposta di destinare a verde l’area di Farini, la più accessibile in assoluto nella futura migliore configurazione di rete e, quindi, la più adatta a funzioni di livello regionale. Penso che analogo “specchietto” sia anche la promessa della circle-line, servizio ridondante e con frequenze modeste, che probabilmente impedirà o procrastinerà di molto la realizzazione del secondo passante, puntando sul servizio di breve distanza e rinunciando al collegamento urbano a tutti, o quasi, i comuni della Lombardia.
A noi Milano sembra congestionata, soprattutto in tema di mobilità, ma se non avesse questa struttura lo sarebbe molto di più e richiederebbe investimenti ben più ingenti nelle infrastrutture di trasporto, come alcune ricerche hanno ben dimostrato.
Gli spostamenti originati e attratti da Milano sono quasi 2,5 milioni al giorno ma sono serviti dal mezzo pubblico per poco più del 30%. (Esclusi, naturalmente, quelli interni a Milano che sono di meno e utilizzano il trasporto pubblico per quasi il 50%).
Ce ne avvediamo quando, uscendo da Milano al mattino, incontriamo chilometri di code delle auto dei pendolari che entrano.
E noi pensiamo all’”Area C” e alle biciclette!
Il modo più efficace e più veloce per servire relazioni di massa di questo tipo, che eccedono in lunghezza quelle che si svolgono nell’ambito del Comune di Milano, è la ferrovia.
Per questo motivo tutte le metropoli si sono dotate di ferrovie passanti, ovvero, di linee che possono effettuare il recapito urbano degli spostamenti, oltre che interscambiare in molteplici punti con le metropolitane e creare un inviluppo di tutte le linee nei tratti centrali.
Berlino ha due rami ferroviari passanti (S-Bahn), ma ha recentemente costruito un terzo passante sotterraneo nord-sud trasformando la Lehrter Banhof nella nuova Hauptbahnhof; Monaco ha un passante; Parigi ha tre passanti per le linee RER; Madrid un grande passante tra Atocha e Chamartin e un anello intorno al centro; Bruxelles un passante; Zurigo ha recentemente ultimato il secondo passante.
Londra, finora paga delle molte stazioni centrali, ha ora Crossrail, il nuovo passante ferroviario est-ovest, in costruzione e parzialmente in esercizio, lungo 136 km di cui 21 in galleria sotto tutta la città. Si tratta del più grande progetto in costruzione di tutta l’Europa, del costo di circa 20 miliardi di euro. È previsto un secondo passante nord-sud, non ancora finanziato. (Questo cambiamento di strategia, rispetto al Congestion Charge, deriverà forse dal fatto che il traffico nel centro è tornato lo stesso che si riscontrava prima della sua attuazione, come ha riconosciuto anche Transport for London).
Parigi ha progettato e sta realizzando una nuova rete di metrò regionale (linee 14-15-16-17) esterna ai terminali del metrò urbano, con un diametro di 40 chilometri.
New York sta costruendo passanti sotto Manhattan per collegare direttamente la Gran Central Station alla rete ferroviaria di Long Island (East Side Access) e la Pennsylvania Station con la rete ferroviarie di Newark e del New Jersey (Gateway Program – Northeast Corridor).
Noi, invece, abbiamo cancellato dal PUM il progetto del secondo passante ferroviario, che avrebbe reso urbana gran parte della Lombardia e il cui finanziamento era già stato reperito, nel 2005, attraverso un criterio di corretta urbanizzazione degli scali con pianificazione a cura del Comune.
Non paghi, ora lasciamo le aree ferroviarie all’immobiliarismo privato.