Ali di falco, con questo termine sono stati denominati i più originali e rappresentativi corpi scale, caratteristici dei palazzi del barocco napoletano. Le ali del falco, lunghe e appuntite, permettono a questi animali di raggiungere in volo una grande velocità e di calarsi in picchiata anche a più di 350 chilometri all’ora. La disposizione aperta delle loro ali è stata presa a modello dagli architetti napoletani.
Obiettivo del libro è la localizzazione e il censimento di una tipologia architettonica, ove la scala è l’elemento principale e più complesso della costruzione.

Mappa della città con itinerari di visita ©Roberto Gamba.

Napoli, nel periodo barocco, ha raccolto in questo senso una tale quantità di esempi da costituire nel panorama dell’architettura una specifica tipologia, riferibile ai suoi palazzi costruiti nel XVIII secolo. La tipologia del palazzo del barocco napoletano ha infatti come elemento di riconoscimento principale il corpo scale, soprattutto nelle sue versioni aperte, tra le quali si sono distinte quelle da cui si è generata la denominazione “ali di falco”, per la versione che caratterizza gli esempi più famosi e scenograficamente sorprendenti. Ma con una più corretta descrizione si definisce la tipologia del palazzo barocco una costruzione residenziale pluriplano, determinata morfologicamente nella composizione dalla sequenza portale, androne, corte e corpo scale.
I corpi scala aperti sono stati concepiti come elementi scenografici, capaci di suscitare sensazioni particolari e di valorizzare spazi anche reconditi, senza contare in alcun modo sul vantaggio del contesto naturale.

Palazzo dello Spagnolo. Fronte del cortile doppio ©Roberto Gamba.

Il censimento proposto nel libro, con il corredo di alcuni disegni interpretativi delle planimetrie e delle facciate, intende sistematizzare tale tipologia, mettendo in evidenza la quantità, la diffusione, oltre che la poca valorizzazione ad essi tributata nel tempo, considerando lo stato di scarsa manutenzione che caratterizza la maggior parte dei palazzi rilevati.
Le più belle scale ad “ali di falco” sono quelle dei Palazzi Sanfelice, dello Spagnolo, Trabucco, Costantino Fernandes. In esse la scala si raddoppia, dispiegando una a destra e una a sinistra le rampe di salita. In questo modo il piano terra mantiene in asse con l’ingresso del palazzo un passaggio sottostante alle rampe per raggiungere il giardino posteriore.

Palazzo Sanfelice, pianta e prospetti ©Roberto Gamba.

Ma naturalmente non tutte le scale aperte del barocco napoletano sono ad “ali di falco”. Sono a doppia chiocciola (Palmarice e Bartolomeo di Majo) le scale ricavate all’interno del corpo di fabbrica, con un vuoto centrale.
I corpi scala aperti, o quelli non aperti, tra cui si rileva la ricercatezza delle scale a chiocciola o a doppia chiocciola; le loro forme planimetriche, a esagono o ottagono; la copertura a volta; la traforatura delle quinte murarie sono la conferma della volontà dei progettisti del barocco napoletano di ricercare nel disegno della scala un capriccioso effetto scenografico, un’originalità, tali da destare sorpresa se non una maestosa cupezza, capace di incutere una timorosa meraviglia.

Palazzo Trabucco, cortile ©Roberto Gamba.

Ci sono poi altri elementi caratterizzanti questa tipologia, che ci permettono, a distanza di tanti anni, considerando lo stato di degrado di molti dei palazzi censiti, di riconoscerle nelle strade e all’interno dei vicoli della città. Sono i loro portali, realizzati quasi sempre in piperno lavorato, con forme e decori sempre diversi che possono comprendere archi sopraluce, epigrafi, stemmi gentilizi.
Poi le roste, grate semicircolari, con disegno floreale a raggiera, simile alla coda a ruota del pavone o del tacchino, realizzate in legno lavorato, poste sopra i portoni per garantire un minimo di luce ed aria all’atrio di ingresso; poi ancora i saloni di rappresentanza, al piano nobile, dipinti e decorati e spesso individuabili dalla strada dalla presenza della balconata.

Palazzo Bartolomeo di Maio ©Roberto Gamba.

Infine, sostanzialmente in tutti gli esempi, anche nei fabbricati maggiormente degradati, talvolta quasi abbandonati o compromessi da orribili superfetazioni, sono tracce delle originarie definizioni di facciata, le parti rimanenti delle pregevoli incorniciature delle finestre e dei balconi più o meno sobriamente sagomati.
In maggioranza i palazzi barocchi sono attribuibili a uno specifico progettista architetto. Non sono prodotti pertanto di un’architettura spontanea, ordinariamente indistinguibile, ma almeno in origine sono frutto di uno studio razionale improntato a uno stile codificabile. Sono citati in particolare i seguenti progettisti architetti: Ferdinando Sanfelice, Nicola Tagliacozzi Canale, Pompeo Schiantarelli, Mario Gioffredo, Giuseppe Astarita, Luca Vecchione con il fratello Bartolomeo, Nicolò Carletti, Luigi Vanvitelli, Ferdinando Fuga, Giovan Battista Nauclerio, Domenico Antonio Vaccaro, Francesco Attanasio, Gabriele Preziosi, Carlo Zoccoli, Gaetano Barba.

Palazzo Palmarice, pianta e fronte del cortile ©Roberto Gamba.

In sintesi, il libro si compone di porzioni di mappa cittadina, ove sono indicati nove possibili itinerari di visita; di 71 schede ove ciascun palazzo è indicato in un estratto della mappa che ne permette l’esatta localizzazione; brevi descrizioni storico architettoniche; riferimenti bibliografici; illustrazioni e disegni nel complesso realizzati dall’autore, solo interpretativi e sommariamente conoscitivi delle consistenze edilizie.
Si integra agli itinerari il contributo scritto da Pier Angelo Guerriero, che delinea la storia della città, citando i monumenti, i personaggi, le opere d’arte che hanno preso parte alla sua evoluzione e alla sua cultura.
L’autore (Milano, 1952), architetto e giornalista, svolge attività professionale e pubblicistica per numerose riviste di architettura. Ha pubblicato: Giovanni Greppi a Craveggia. Vita e opere dell’architetto in Valle Vigezzo – con Claudio Mori – CM edizioni, 2014; Concorsi e architettura. Rassegna periodica per i professionisti e gli amministratori della Lombardia, Fascicoli CeA edizioni 1/2015 – 15/2019.