È sempre difficile parlare di e, su l’amicizia, in un momento in cui la vicinanza e i contatti sono limitati dal Covid; in una fase storica in cui sentiamo e vediamo interi popoli in guerra.
In questo scenario i sentimenti di amicizia ci paiono più ardui da praticare e raggiungere; invece – a mio avviso – può agire sul nostro spirito come un’apertura di ali. Questo sentimento può elevarci sopra i soprusi e le paure, può farci cogliere l’essenza e, forse, la necessità di stabilire un rapporto più affettuoso tra gli esseri umani.
L’amicizia ci dà respiro “ci fa sentire che esistiamo” (Aristotele) tra esseri sensibili e intelligenti.
Questo ho pensato, questo so, e ho ritrovato leggendo, sul rapporto gentile e affettuoso che incorreva tra Gillo Dorfles e Giorgio Casati. Non a caso la mostra e più il catalogo della stessa, promossi entrambi da Cortina Arte di Milano raccontano.
Stefano Cortina espone – introducendo i lavori e le vicende dispiegate in catalogo – come questa sia “la storia di un incontro e la nascita di un’amicizia gentile tra un architetto dalla fulgida carriera professionale, Giorgio Casati, e un gigante della cultura italiana e non solo, Gillo Dorfles. Ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere entrambi e sono molto onorato di ospitare questa esposizione che ne racconta in sintesi la collaborazione e l’amicizia. Dorfles frequentava la libreria e la galleria di mio padre Renzo in piazza Cavour. Ho poi avuto l’onore di intervistarlo e dunque conoscerlo (…) Fu un’esperienza veramente emozionante”.
Gillo Dorfles, Senza titolo, 2013. Tappeto in lana, 300 x 200 cm, realizzato a mano.
Il racconto espresso dalla mostra è succinto in quanto racchiuso in uno spazio limitato, ma a questo sopperiscono i contributi di Caramel, Di Raddo, e Cerritelli i quali illuminano i percorsi e le peculiarità dei due personaggi.
Luciano Caramel esamina soprattutto il segno di Dorfles espresso, in particolare nelle acqueforti eseguite tra il 2008 e il 2011 “Come è riscontrabile in queste acqueforti-acquetinte, che Dorfles chiama Interferenze, ove le linee mobili si dipanano a dar realtà fantasmatica a curiosi personaggi disarticolati ed evanescenti degli Eta Beta spaziali, degli spiritelli trasparenti, che ti immagini mutanti, in perpetua metamorfosi”.
Con altrettanta lucidità Elena Di Raddo precisa che “Come il suo maestro Dorfles, anche Casati ha un’innata propensione alla curiosità e desiderio di conoscenza che veicola nell’arte visiva, ma anche attraverso scritti teorici, che indagano l’arte in rapporto alla musica, al paesaggio, alla Natura, al cosmo, quindi, in un suo recente saggio dedicato al tema del ‘naturale’ e dell’‘artificiale’, abbracciando il valore dell’esperienza della natura già predicata da Dorfles, sostiene che: ‘Se si desidera individuare il vero percorso dell’arte d’oggi, se si vuole che sia un’attività veramente elevata della mente, bisogna prendere contatto consciamente con gli elementi naturali e artificiali del nostro mondo: la qualità naturale, la segnica urbana, sonora, luminosa dove si annida la naturalità attuale. Per questo la macchina, come il disegno computerizzato, come la fotografia elettronica, oggi dovrà essere considerata un prodotto ‘oggettualizzato’ come furono nel passato gli animali e le piante; si tratta di considerare naturale il nostro intero ‘habitat’, quello che vede presenti, oltre alla natura, anche le nuove forme e costruzioni artificiali dell’uomo’ (…) L’insofferenza per schemi geometrici precostituiti che si riscontra nelle opere di Casati fa pensare ai dipinti e alle ceramiche che Gillo Dorfes ha realizzato negli anni del MAC, il Movimento Arte Concreta, di cui è stato fondatore insieme a Gianni Monnet, Bruno Munari e Atanasio Soldati. Quella pittura, proiezione esatta della posizione teorica, rivelava l’insofferenza per la pittura astratta del dopoguerra, che traeva forme da oggetti sensibili, fisici o metafisici. Ed era invece basata, come scriveva lui stesso (Dorfles) definendola, appunto, ‘concreta’, ‘soltanto sulla realizzazione e sull’oggettivazione delle intuizioni dell’artista’”.
Giorgio Casati, un’opera della serie delle Endiadi.
Claudio Cerritelli, con formulazioni analitiche, si addentra nel rapporto di intelligenza e simpatia tra i due artisti “Attento conoscitore del pensiero estetico di Dorfles, Casati ha dichiarato che ‘il suo insegnamento è stato quello di far capire che le opere entrano nella sfera dell’arte se confacenti al percepire attuale’. Secondo le indicazioni dello studioso, esse devono ‘non solo essere narrazioni inedite, bensì eseguite con intelligenza e cura esecutiva. In tal modo queste opere potranno entrare in quelle strutture che l’uomo riporrà con cura nei luoghi di conservazione, per essere tramandate e disponibili nel domani’. Si tratta di una prospettiva non solo estetica ma caratterizzata da un profondo respiro etico che anche Casati ha dimostrato di perseguire nella sua poliedrica attività, interpretando con materiali e tecniche diverse l’idea di comunicazione come dimensione globale della conoscenza. Il ruolo dell’artista si assume il compito di sostenere questa utopia universale trasformando le percezioni individuali in visioni che si rivolgono a tutti. Dunque, l’idea dominante è quella di un’arte come campo di relazioni intersoggettive dove il progetto umanistico è sorretto dalla volontà di cercare la sintesi possibile tra la misura razionale del pensare e la libera elaborazione del sentire creativo”.
Il catalogo è arricchito di una serie di documenti che illustrano i rapporti di Dorfles e Casati con i più raffinati artigiani ai quali si sono rivolti per collaborare alla realizzazione dei loro lavori e a personaggi quali: Salvatore Amura e Raffaella Porta, Serena Bertolucci, Luca Bochicchio, Luigi Cavadini, Giuseppe Conte, Dario Fo e Franca Rame, Corrado Gavinelli e Mirella Loik, Peter Eiseman, Mauro Guerra, Nicola Salvatore, Patrizia Serra ed Heiz Waibl con i quali hanno avuto cordiali rapporti.