Certamente una delle sfide più importanti nel governo del territorio dei prossimi anni riguarderà la rigenerazione urbana.
Mentre alcune Regioni hanno introdotto una normativa specifica in materia, in Lombardia non esiste ancora una disciplina organica sulla rigenerazione urbana.
Vi sono però alcune previsioni sul tema, che sono state introdotte dalla legge regionale 28 novembre 2014, n. 31 (c.d. “legge sul consumo di suolo”).
In particolare l’articolo 2 della legge qualifica la rigenerazione urbana “l’insieme coordinato di interventi urbanistico edilizi e di iniziative sociali che includono (…) la riqualificazione dell’ambiente costruito, la riorganizzazione dell’assetto urbano (…), il risanamento del costruito”.
Già da questa definizione risulta evidente che la legge riconosce l’esistenza di un marcato interesse pubblico allo sviluppo di progetti di rigenerazione urbana, il che giustifica l’introduzione di previsioni normative connotate da un particolare favor per la realizzazione dei relativi interventi.
Così l’articolo 8 della legge n. 12/2005, come modificato dalla legge regionale n. 31/2014, stabilisce che il Documento di Piano del PGT “individua gli ambiti nei quali avviare processi di rigenerazione urbana e territoriale prevedendo specifiche modalità di intervento e adeguate misure di incentivazione”.
A sua volta l’articolo 4 della legge regionale n. 31/2014 dispone che sia attribuita priorità nella concessione di finanziamenti regionali ai comuni che avviano azioni concrete per la realizzazione di interventi di rigenerazione urbana.
Lo stesso articolo 4 ha poi modificato l’articolo 10 della legge regionale n. 12/2005, stabilendo che il Piano delle Regole del PGT debba prevedere, per gli interventi di ristrutturazione urbanistica da realizzarsi all’interno degli ambiti di rigenerazione urbana, la riduzione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e del contributo sul costo di costruzione.
Per il momento, tuttavia, la maggior parte dei Comuni non ha ancora conformato il proprio Piano delle Regole a tale previsione, in attesa dell’adeguamento degli strumenti di pianificazione regionale, metropolitano e provinciali alle disposizioni della stessa legge n. 31/2014.
Nel frattempo i privati che intraprendono interventi di rigenerazione urbana sovente si trovano ad affrontare svariate criticità, tra cui la durata e la complessità delle relative procedure, il rischio del contenzioso e l’aumento dei costi.
Non sono infrequenti i casi in cui, nel momento in cui si riesce finalmente a dare esecuzione agli accordi stipulati con la pubblica amministrazione, questi non rispondono più alle esigenze degli operatori, in particolare con riferimento alle destinazioni d’uso previste.
Per evitare questo rischio può essere opportuno prevedere, nell’ambito degli accordi con gli enti pubblici, un’ampia flessibilità per quanto riguarda le destinazioni da insediare, anche in applicazione del disposto di cui all’articolo 51 della legge regionale n. 12/2005, il quale stabilisce che “le destinazioni principali, complementari, accessorie o compatibili (…) possono coesistere senza limitazioni percentuali ed è sempre ammesso il passaggio dall’una all’altra, nel rispetto del presente articolo, salvo quelle eventualmente escluse dal PGT”.
Quanto al contenzioso, una norma che dovesse escludere o anche solo limitare la possibilità di proporre impugnazioni in tema di rigenerazione urbana certamente si esporrebbe a censure sotto il profilo della legittimità costituzionale. Si potrebbe tuttavia ad esempio ipotizzare di estendere al contenzioso in materia le disposizioni volte a ridurre la durata dei processi oggi vigenti per gli appalti pubblici.
Un altro degli aspetti maggiormente problematici che gli operatori si trovano non di rado ad affrontare è quello della lievitazione dei costi in fase di attuazione degli interventi di rigenerazione urbana, con particolare riferimento alle spese di bonifica.
Queste ultime dovrebbero essere a carico del soggetto che ha causato la contaminazione, in base al principio di derivazione euro unitaria “chi inquina paga”.
In realtà i molti casi gli attuali proprietari, pur non essendo responsabili per la contaminazione, si vedono costretti ad anticipare ingenti costi di bonifica, salvo cercare di rivalersi in sede contenziosa nei confronti di chi ha effettivamente causato l’inquinamento.
Ad ogni modo andrebbe presa in considerazione l’ipotesi di consentire di scomputare da quanto dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione i costi per le bonifiche che dovessero rimanere a carico dei soggetti che effettuano interventi di rigenerazione urbana.
Quanto all’eventualità che l’importo dovuto a titolo di contributo di costruzione possa incrementarsi nelle more del rilascio dei titoli edilizi per l’esecuzione degli interventi, è da notare che l’articolo 38, comma 7 bis della legge regionale n. 12/2005 già consente di determinare il relativo ammontare con riferimento al momento dell’approvazione del piano attuativo o dell’atto di programmazione negoziata “a condizione che la richiesta del permesso di costruire, ovvero la denuncia di inizio attività siano presentate entro e non oltre trentasei mesi dalla data dell’approvazione medesima”.
In ogni caso, sulla base delle considerazioni espresse dal Consiglio di Stato nella recentissima sentenza n. 1475/2018, è da ritenere legittimo prevedere, in sede di convenzione tra il Comune e il soggetto proprietario delle aree sulle quali è previsto lo sviluppo dell’intervento, che l’importo degli oneri di urbanizzazione, così come determinato nella convenzione stessa, resti fisso e invariabile.