Dopo circa un anno di lavori e ricerche sta per essere inaugurata, a Lubiana, presso gli spazi della Galerija Dessa, un’importante rassegna sull’arte dei monumenti alle vittime della guerra di liberazione popolare (1941-45) realizzati, tra il 1945 e il 1991, nei territori delle sei ex repubbliche e due province autonome che formavano lo stato della Jugoslavia.
Jože Plečnik, Bukovško polje, Slovenia, 1950. Foto: Miran Kambič.
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Si tratta di un argomento architettonico e culturale che negli ultimi anni ha riscosso molto interesse e successo, grazie, soprattutto, all’opera di alcuni rinomati fotografi stranieri (tedeschi, americani, italiani), i cui servizi fotografici sono spesso serviti come spunto o hanno costituito basi materiali per numerose pubblicazioni, siti web (sempre più aggiornati e implementati di nuovi dettagli) e alcune esposizioni, tra cui spicca sicuramente, per la serietà scientifica di tutta l’operazione, Toward a Concrete Utopia: Architecture in Yugoslavia, 1948–1980, tenutasi tra il 2018 e il 2019 presso il MoMA di New York (vedi qui).
Ciò che distingue maggiormente la mostra di Lubiana – promossa dalla Galerija Dessa, la rivista “ab-Architect’s Bulletin” e la piattaforma Architectuul –, rispetto al resto di simili manifestazioni, è che i curatori, gli autori dei testi, i fotografi (ad eccezione del bravissimo Roberto Conte) e, persino, lo sponsor, Ministero della Cultura della Repubblica di Slovenia, sono tutti, studiosi e operatori, provenienti da una delle ex repubbliche jugoslave.
Mihajlo Mitrović, Ivan Sabolić, Bubanj, Niš, Serbia, 1963. Foto: Roberto Conte.
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Al successo di un tema architettonico così particolare hanno contribuito certamente alcuni fattori geografici, storici e culturali caratterizzanti la Jugoslavia. Tra di essi, va ricordato il fatto che la guerra di liberazione contro le forze nazifasciste è stata molto cruenta – ecco il perché della grande quantità di monumenti sorti nel dopoguerra –, che la conformazione geografica del territorio jugoslavo è molto ricca di spunti naturali belli e incontaminati – di conseguenza, la nazione era già predisposta a offrire numerose location di particolare valore ambientale –, e che, come in politica, anche nelle materie artistiche la Jugoslavia ha cercato di proporre una sua “terza via”, basata sui canoni architettonici e artistici autonomi, lontani dal realismo socialista sovietico.
Nei progetti oggetto della mostra, questa via artistica jugoslava oscilla spesso tra l’arte del ricordo, ispirata a un certo modernismo architettonico – sviluppatosi nel dopoguerra in tutto lo Stato, in seguito alle nuove ricostruzioni – ed esempi di primissimi tentativi di land-art, con al centro l’inserimento di sculture monumentali, forti, ma non violente con il paesaggio circostante.
Bogdan Bogdanović, Jasenovac, Croazia, 1965. Foto: Roberto Conte.
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Inoltre, la scena jugoslava in quegli anni presentava già alcune figure di spicco, di intellettuali, architetti e artisti, in grado di svolgere questo difficile compito artistico del ricordo senza, tuttavia, scadere in un monumentalismo celebrativo. Si tratta, tra gli altri, di Vojin Bakić, Bogdan Bogdanović, Dušan Džamonja, Edvard Ravnikar, Miodrag Živković, tutti ricordati dalla mostra al MoMA, avendo, oltre a questi incarichi, progettato altre opere professionali lungo il territorio dell’ex Jugoslavia.
Miodrag Živković, Ðorđe Zloković, Sutjeska, Tjentište, Bosnia ed Erzegovina,1971. Foto: Roberto Conte.
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I curatori della mostra di Lubiana hanno selezionato solo 33 monumenti e complessi commemorativi dislocati in tutte le repubbliche e province autonome dell’ex Jugoslavia, confessando che non si è trattato di un compito facile, vista la presenza di numerosi altri progetti altrettanto validi. Quello che accomuna tutte le opere selezionate è “il loro straordinario linguaggio artistico”, a ricordo della “dignità della vita e della morte umana”.
E, ancora, proseguono: “Con la mostra, desideriamo presentare e valutare l’eccezionale architettura etnografico-scultorea dei monumenti e complessi commemorativi jugoslavi. Oltre all’innovazione estetica e strutturale, risultano ulteriormente arricchiti da un unico, ancora contemporaneo e avanzato, linguaggio artistico dei loro creatori. Vorremmo anche attirare l’attenzione sul loro significato culturale e contemplativo. Vogliamo incoraggiare il grande pubblico, la popolazione locale e i responsabili di una valutazione matura e rispettosa del valore artistico, architettonico e semantico di queste straordinarie sculture spaziali, e, dunque, anche per il loro mantenimento e conservazione. I monumenti rispecchiano permanentemente il passato, la vita e la morte. E la dignità della memoria”.
Jordan Grabuloski, Iskra Grabuloska, Petar Mazev, Borko Lazeski, Makedonium, Kruševo, Macedonia, 1974. Foto: Vladimir Deskov.
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Purtroppo, bisogna allo stesso tempo ricordare come, mentre all’estero questo tipo di architetture viene sempre più apprezzato (esistono ormai dei tour organizzati per visitarle), ciò non avviene affatto in molti dei nuovi Stati autonomi nati sulle basi delle ex sei repubbliche jugoslave, sia per motivi etnici (la nazionalità del progettista del monumento) sia politici (governi sovranisti e il revisionismo del passato).
Anche per questo, la mostra di Lubiana rappresenta un importante primo passo per un auspicato diverso atteggiamento culturale e politico verso questo tipo di straordinarie architetture, memorie di un periodo storico ormai passato, erette per ricordare, a loro volta, un’altra epoca ancora più lontana nel tempo.
Miroslav Krstonošić, Jovan Soldatović, Milan Sapundžić, Šid, Voivodina, 1988. Foto: Relja Ivanić.
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