L’architettura “civile” di Luigi Franciosini
Lo sforzo compiuto da Gaetano De Francesco è stato quello di ricostruire, in parte, il pensiero “architetturale” di Luigi Franciosini. Una operazione ardua al punto da sembrare per certi versi rischiosa, soprattutto se si considerano i contenuti profondi della ricerca progettuale insita nel lavoro dell’architetto orvietano di formazione romana.
Polo scolastico di eccellenza alberghiero e agroalimentare, Ariano Irpino, 2017-23. Courtesy by Luigi Franciosini.
Nella parte iniziale del libro è possibile cogliere il modo in cui Franciosini passi dal rivolgere una certa attenzione verso il moderno (chiaramente deducibile dal lavoro sulle case unifamiliari, tra cui la casa per il padre a Sutri), ad un tipo di interesse verso un “mondo reale”, ordinario, stratificato, fatto di consuetudini e per certi versi di gran lunga più complicato rispetto a quello proposto da una certa modernità. È il momento in cui la frequentazione dei luoghi diventa la vera esperienza di conoscenza e crescita; il momento in cui l’architetto orvitano inizia a comprendere il valore e il potenziale di quella che Antonino Saggio nell’introduzione al libro definisce l’“ecologia del mondo etrusco”: l’aspetto culturale, naturale e simbolico di una civiltà fortemente coesa che si esprime attraverso la messa in forma della materia.
Casa del padre, Sutri, 1987. Courtesy by Luigi Franciosini.
Il “muro” diventa il dispositivo costruttivo e spaziale attraverso cui dare forma alla propria architettura. Emblematico è in tal senso l’incarico per il consolidamento della porta vecchia di Sutri (nel 1990), su cui gravava una lesione ad un piedritto. Su questo intervento De Francesco afferma: “La complessità del manufatto, la sua imponenza e il rischio di crollo impressionano l’architetto che per la prima volta entra in rapporto con dei problemi della statica (…) L’esito non lascia spazio ad alcuna volontà di autoaffermazione autoriale, ma ha nella serietà e creatività della soluzione il valore dell’opera”. Ciò a testimonianza del fatto che i progetti dell’architetto di formazione romana, seppure espressivi di una grande personalità, non eccedono quello che è convenzionalmente ritenuto giusto fare. La sua architettura sembra infatti ricercare costantemente un valore per sé e per gli altri, al punto da potersi definire fortemente civile.
Città Alessandrina, Roma, 2008-12. Courtesy by Luigi Franciosini.
Questo modo di concepire il mestiere dell’architetto è documentato anche nel capitolo “meccanica espressiva”, dove i temi della composizione architettonica sono affrontati mediante una riflessione approfondita sui sistemi costruttivi come le capriate che ritmano gli spazi, sui dispositivi spaziali come le logge, sui sistemi distributivi come le scale (si veda il progetto della Torre del Gallese dove una scala elicoidale in ferro viene letteralmente appesa ad una copertura).
“Collina della Pace”, borgata Finocchio, Roma (foto di Roberto Bossaglia, Peter Lindbergh, Tony Garbasso), 2003- 07. Courtesy by Luigi Franciosini.
Nei capitoli intitolati “storia è didattica” e “topografia” si denota da un lato, la capacità di Franciosini di rinnovare costantemente il portato espressivo della storia (è il caso del progetto della grande infrastruttura archeologica che nel percorrere la via dei Fori proietta l’archeologia all’interno di un paesaggio urbano assolutamente contemporaneo, che mostra le sue stratificazioni verticali e che offre dei campi visuali inediti); dall’altro l’abilità a riconosce il valore strutturale – del progetto – di misurarsi con il suolo che diventa emblematico del rapporto viscerale che l’architettura instaura con la materia (si pensi al progetto del Parco del Pollino che nasce dalla volontà di “incunearsi” nell’orografia al fine di cogliere il valore mistico del sottosuolo; oppure al progetto per il Parco Archeologico del Verrucchio dove l’architettura si fa opera di contenimento e di raccordo tra i salti di quota del suolo, anche in questo caso, come accaduto per l’area dei Fori, riscrivendo nuovi orizzonti visuali all’interno del paesaggio antico).
Call Internazionale per Via dei Fori Imperiali, Roma, Accademia Adrianea – Piranesi Prix de Rome, 2015-16. Courtesy by Luigi Franciosini.
Nel capitolo intitolato “porosità tettonica” si affronta invece il rapporto tra la città e il progetto d’architettura. Qui De Francesco afferma: “le architetture di Franciosini tendono ad entrare sempre in sintonia con i luoghi aprendosi ai luoghi (…) e lo fanno attuando una scomposizione tettonica delle masse, trasferendo la struttura dei tessuti urbani dentro lo stesso edificio”.
In questo caso i progetti mostrati nel libro affrontano tematiche differenti tra loro. Personalmente sarei interessato a portare la testimonianza diretta di un’esperienza progettuale condotta assieme a Luigi Franciosini e Cristina Casadei. Riguarda il Progetto per il Palazzo di Giustizia a Trani. Durante il primo sopralluogo sul sito del progetto, ho osservato e ascoltato con attenzione Luigi che, mentre camminava per le vie della città storica pugliese, raccontava le sue sensazioni. Ricordo, per esempio, il modo in cui commentava il rinfrangersi della luce primaverile della Puglia sulla pietra dell’architettura tranese; oppure la maniera con cui descriveva i cromatismi e la consistenza delle superfici litiche ed irregolari dei basamenti dei palazzi, semplicemente ‘accarezzandole’; o ancora, penso a quando colpito dall’oscurità interna agli androni voltati dei palazzi, vi si addentrava per cogliere la potenza di quelle spazialità oscure collocate tra due condizioni spaziali invase dalla luce, la strada e la corte interna.
Museo della Scienza di Roma, 2023. Courtesy by Luigi Franciosini.
Concluderei dicendo che dal lavoro di Luigi Franciosini è possibile cogliere, perlomeno, tre insegnamenti. Primo, che la conoscenza e la formazione di un architetto può concretizzarsi anche nel segno di una continua riscoperta e rimessa in forma della propria memoria, dei propri luoghi affettivi; in tal senso in molti progetti dell’architetto orvietano si avverte la sensazione di riscoprire sempre un po’ di Etruria.
Secondo, la possibilità concreta di maturare un punto di vista sull’architettura che non agisce come una forma chiusa in sé stessa ma piuttosto come un dispositivo nel quale si condensa il contesto materiale, culturale e sociale nel quale si colloca (quasi a voler richiamare l’idea di “opera aperta” a cui Umberto Eco fa riferimento “questa sia l’apertura di un infinito che s’è fatto intero raccogliendosi in una forma”).
Terzo, il fatto che la dimensione teoretica dell’architettura possa essere ricercata e perseguita attraverso l’esercizio del progetto d’architettura che, quasi mai, ne costituisce una premessa ideologica.
Polo scolastico via Scialoia, Milano, 2021. Courtesy by Luigi Franciosini.