Non c’è cosa più difficile per un architetto che scrivere dell’opera di un collega, sia essa progettuale o letteraria.
E il compito è paradossalmente ancor più arduo quando si è chiamati a recensire il corpus teorico del tuo maestro, colui che ti ha formato e con il quale, per anni, hai condiviso l’esercizio e la pratica del progetto nel suo studio milanese, così come nella ricerca e nell’insegnamento a scuola, al Politecnico di Milano. È complicato perché sei talmente immerso e permeato da quello stesso sostrato culturale da non riuscire a discernere compiutamente dove finisce il suo pensiero e dove invece comincia il tuo.

Angelo Torricelli, Villa Adriana, schizzi di viaggio, 2007-08.

Il Momento presente del passato. Scritti e progetti di architettura rappresenta infatti l’estrema sublimazione della poetica architettonica di Angelo Torricelli – per lo meno di quella parte applicata ad uno dei temi più qualificanti della disciplina del progetto, il rapporto tra antico e nuovo – una vera e propria ricapitolazione della sua longeva carriera di architetto e docente, tutt’ora in corso. E, in quanto tale, è solo all’apparenza una collettanea di scritti, progetti e opere. È piuttosto un’autobiografia, insieme professionale e scientifica, come già notato da Roberta Amirante nella sua lucidissima recensione (Op. Cit., n. 117 maggio 2023). E non potrebbe essere altrimenti: l’ultimo sforzo – solo in senso cronologico, confidando a nuove occasioni editoriali nelle quali dibattere gli altri temi della sua ricerca – di una lunghissima riflessione che Torricelli ha avviato già sul principio degli anni ’80, con le sue prime opere, ed è giunta sino ad oggi, non senza le più opportune ed evidenti revisioni. Il carattere di scientificità di questo libro è fin troppo evidente nella dimensione didattica, quasi didascalica, che Torricelli ha voluto imprimere tanto all’ordinamento tripartito della struttura (I. Saggi; II. Album: opere e disegni; III. Antico e Nuovo: progetti) quanto all’impostazione della sua narrativa, ad ulteriore riprova, forse non del tutto necessaria, del suo essere ancora e sempre docente. Anche l’intitolazione merita una doverosa sottolineatura, nel volersi rivolgere a quella tradizione di pensiero che intende una visione ciclica del tempo alla stregua di chi, al dischiudersi delle Avanguardie del primo Novecento, aveva saputo contrapporre una rinnovata visione della tradizione classica.

Angelo Torricelli et al., Concorso internazionale di progettazione e procedura ristretta “Darsena”, Milano, 2004. Pianta del progetto in rapporto alle preesistenze archeologiche e monumentali.

Così, se guardiamo a questo libro con l’opportuna distanza critica e con il rigore del metodo di indagine archeologica e stratigrafica, più volte richiamato sia negli stessi scritti di Torricelli che nei suoi progetti qui presentati, possiamo infatti comprenderne in pieno la portata manualistica – sul come (il modo in cui) far architettura – ed estrapolare alcuni temi fondanti della poetica dell’autore:
– la volontà di dar continuità al pensiero teorico attraverso la pratica del fare, laddove il disegno è lo strumento di ricerca privilegiato, siano essi schizzi, appunti di viaggio o più precise rappresentazioni bidimensionali o tridimensionali, che pur mantengono inalterata la coerenza dell’idea al tema in tutte le fasi di progressiva definizione del progetto verso la sua forma compiuta;
– l’ossessiva ricorrenza di termini e concetti che ciclicamente riemergono nella memoria dell’autore, così come nei modi della rappresentazione, non senza incursioni verso la raffigurazione digitale – ovviamente tutte concentrate nella fase a noi più vicina (per evitare il termine contemporaneo, poco coerente alla costruzione ontologica di questo progetto editoriale) – che pur tuttavia mantengono intatta la carica di selettiva espressività dei primi disegni a mano. Antico, conservazione, archeologia, progetto, memoria, città, tempo, invenzione non sono solo alcuni dei vocaboli più ricorrenti nei testi di Torricelli, quanto veri e propri temi generali sempre immanenti nel suo lavoro;
– l’altrettanto ossessiva predilezione per alcuni luoghi d’elezione, precisi e rappresentativi perché scientemente individuati per le loro peculiarità pedagogiche piuttosto che per una romantica predilezione: Atene (Archeologia, città, Museo. Atene come inizio, I. Saggi, pag. 70); Alessandria d’Egitto (Città di frontiere. Alessandria tra Oriente e Occidente, I. Saggi, pag. 74); Villa Adriana (La lezione di Villa Adriana, I. Saggi, p. 78 e Prima di Villa Adriana. La rivelazione di ordini e misure, II. Antico e nuovo: progetti, p. 111) e Milano su tutti (Aree archeologiche e progetti per la città, I. Saggi, p. 48; Memoria e immanenza dell’antico nel progetto urbano, I. Saggi, p. 53; Invenzione dell’antico. Studi e progetti per Milano archeologica, I. Saggi, p. 65; Darsena, grande piazza del Ticinese, II. Antico e nuovo: progetti, p. 116; Orto botanico di Brera, II. Antico e nuovo: progetti, p. 117; La riscrittura di piazza Castello, II. Antico e nuovo: progetti, p. 119), dove riscopre nuovamente la dimensione e il valore archeologico sotteso all’evidenza delle forme urbane della città contemporanea, “ai dati più ovvi della città visibile” (Invenzione dell’antico. Studi e progetti per Milano Archeologica, I. Saggi, pag. 66). E proprio dalla volontà di “intrecciare il punto di vista dell’archeologia con quello dell’architettura” (Memoria e immanenza dell’antico nel progetto urbano, I. Saggi, pag. 53) e dalla confidenza con l’antico, dal rapporto con il rudere, la rovina, il resto, il frammento o il non finito, che emerge quell’attitudine alla riscoperta e all’invenzione, al montaggio che, per via analogica, è in grado di ricomporre l’apparente antinomia tra passato e presente. Il rapporto antico e nuovo percorre trasversalmente l’intera storia dell’architettura e qualifica l’esperienza dell’architettura dello stesso Torricelli senza soluzione di continuità: anche laddove l’antico non compare nell’evidenza delle sue tracce, ma solo in labili segni o nella sua memoria di studioso ed erudito operante, Torricelli indugia sempre, nello svolgimento del progetto, sull’analisi stratigrafica, con una reale attitudine archeologica, alla ricerca “del potenziale di novità racchiuso nelle vestigia del passato” (Prefazione, pag. 7). E da qui muove verso la ricomposizione: questa volta invece, come architetto, e diversamente da un archeologo poiché – sebbene accomunato a questo dalla medesima volontà di interrogazione del tempo e delle forme – come architetto si propone di perpetrare il senso profondo di quelle stesse forme, dirute o interrotte, attraverso inedite composizioni logico-sintattiche che non si curano tanto di essere “vero e autentico” (“Non per altro si restaura che per apprendervi”: l’antico nelle città e nelle tradizioni del moderno, I. Saggi, pag. 27), badano piuttosto alla coerenza, all’essere logiche, veridiche, poiché già implicitamente sottese allo stato di cose quali virtuali occasioni concesse agli occhi di chi sa cogliere.