Ogni architetto è inevitabilmente attratto da opere più o meno recenti di altri architetti. Si tratta di una condizione implicita del nostro mestiere. Spesso le prime fascinazioni, quelle più ingenue, hanno a che fare con le frequentazioni iniziali intorno a lavori di un maestro riconosciuto a livello internazionale, incontrato per la prima volta sulle pagine dei libri di storia. Ma nel corso degli anni, con l’esperienza di tutti i giorni, impari a osservare le cose per quello che sono realmente e, a volte, fai incontri inaspettati, scoprendo che, anche molto più vicino a te, nelle pieghe più o meno profonde della provincia, puoi trovare opere dotate di grande fascino e attrattiva che possono diventare vere e proprie ossessioni: ti rendi conto della forza concettuale che le ha generate e, allo stesso tempo, della disarmante semplicità ed eleganza che riescono ancora a trasmettere e rappresentare.

©Foto di Gianluca Gelmini.

È successo così nel mio incontro con le opere di Pino Pizzigoni. Molti dei progetti di Pizzigoni, realizzati o meno, costituiscono sperimentazioni aperte: “prove” sul tema dell’abitare di grande freschezza e attualità, sulle quali è possibile compiere riflessioni e interpretazioni operative. La casa per il pittore-scultore Claudio Nani rappresenta sicuramente un felice esempio del rapporto tra committente e architetto.
Il committente è un artista e il progettista è una delle figure più emblematiche della cultura architettonica di Bergamo nel Secondo dopoguerra: un architetto impegnato nella continua ricerca di nuovi modi d’immaginare lo spazio attraverso gli strumenti della prospettiva, della tecnica e della forma. Un aspetto interessante del suo lavoro riguarda alcune questioni di carattere costruttivo e realizzativo che Pizzigoni lascia volutamente aperte: questioni affrontate assieme al committente e risolte secondo un processo di reciproca contaminazione; un insieme di scelte generate da trascrizioni coerenti con il progetto iniziale e in sintonia con la natura del territorio circostante.

©Foto di Gianluca Gelmini.

Il progetto nasce alla fine del 1963. Claudio Nani era stato chiamato da Pizzigoni a lavorare al tabernacolo della chiesa di Longuelo, da lui progettata e, in cambio di quest’opera, l’architetto disegnò la casa di Parre come luogo di vacanza per l’artista e la sua famiglia. Il progetto definitivo è del 1964; la costruzione si conclude nel 1965.
La casa è situata in Val Seriana, in località Sant’Alberto, nel territorio di Parre, poco al di sopra della strada di fondovalle diretta verso Ardesio. Alle sue spalle si trovano le pendici del Monte Alino, mentre di fronte scorre il fiume Serio, che in quest’area si allarga in una vasta piana alluvionale delimitata verso sud dalla selva di Clusone.

©Foto di Gianluca Gelmini.

La costruzione sorge all’estremità di un prato allungato. Senza apportare sostanziali modifiche al naturale andamento del terreno, essa è costruita come un blocco incastrato nel pendio. Il volume compatto si protende verso valle attraverso tre grandi aperture, in forma di volumi aggettanti orientati su visuali privilegiate del paesaggio. Queste tre grandi finestre diventano il tema principale del progetto: non sono semplici aperture, ma spazi che definiscono e organizzano gli ambienti principali della casa.

©Foto di Gianluca Gelmini.

Il progetto è parte della ricerca che Pizzigoni compie in quest’ultimo periodo della sua vita – morirà nel 1967 – sull’equilibrio della costruzione e sulle possibili coincidenze tra struttura e architettura. Secondo Pizzigoni, la gravità – il peso delle masse – non rappresenta tanto un problema da risolvere, quanto piuttosto una risorsa per creare nuovi meccanismi strutturali e, dunque, nuovi modi di costruire lo spazio. Nella casa Nani, la scala, chiusa all’interno di murature, oltre a essere elemento distributivo è anche elemento strutturale in forma di grosso pilastro cavo. Insieme con altri due pilastri, essa forma un sistema bilanciato in grado di contrastare le forze generate dagli sbalzi con l’ausilio di travi che disegnano un traliccio tridimensionale fatto di triangoli isostatici.

©Foto di Gianluca Gelmini.

A questo lavoro sulla struttura si sovrappone un importante interesse di Pizzigoni per la prospettiva, intesa come strumento per governare lo spazio. Il progetto è generato da una visione tridimensionale: la casa è posta al centro di una sfera. Il paesaggio la qualifica e l’attraversa; linee di proiezione ne disegnano profili e volumi, nel pieno controllo visuale delle regole prospettiche. L’impronta dell’edificio è inscritta in un quadrato di 11,50 m di lato. Il disegno planimetrico presenta variazioni su ognuno dei quattro livelli. Gli unici elementi che rimangono costanti sono il blocco scala, disposto al centro della pianta, e il muro di contenimento, collocato verso monte. L’accesso all’interno della casa si trova sul lato ovest e immette dal livello del cortile direttamente nello spazio a doppia altezza dell’atelier, mentre un secondo ingresso è posto sul retro a livello della zona giorno. Le finiture degli spazi interni sono arricchite dalle decorazioni a stucco e dai rivestimenti in legno ideate e realizzate dallo stesso committente. “L’edificio”, secondo Claudio Nani, “nasce da un punto dello spazio che, espandendosi, s’irradia sfericamente formando linee, superfici, volumi e spazi d’uso, specularmente esterni ed interni. Questa è l’idea alla base del progetto di Pizzigoni: la creazione di una sorta di caleidoscopio dal quale vedere il paesaggio, una scultura abitata in mezzo alla natura. Pizzigoni si sedette nell’angolo nord del terreno, si guardò intorno, osservando i monti e la vastità del paesaggio antistante e mi disse che questo era il posto giusto, ‘qui appoggiamo la schiena’: una schiena fatta da un muro spigolato, mosso, che doveva essere potente e massiccio, in modo da evitare i continui cedimenti del pendio. Come il contadino che usa i materiali erratici per terrazzare e ricavare prati da coltivare su gradoni digradanti, la casa è spazio rubato alla natura. Pizzigoni ha preso il paesaggio naturale che non era né bello né brutto, era aspro e duro, e l’ha tradotto in architettura”.

©Foto di Gianluca Gelmini.

Casa Nani è un’architettura singolare, nella quale convivono pensieri e tensioni contrapposti. A elementi propri della tradizione locale – come la tipologia della casa a blocco in muratura a secco, le finestre a sporto delle case di montagna – si sovrappongono altri temi desunti dalla contemporaneità, come la struttura a traliccio in cemento armato e le ampie vetrate che si trasformano in stanze sospese. Verso monte, la casa appare dura e impenetrabile: un alto muro in sassi a vista è bucato da piccole finestre quadrate. L’immagine del retro è quella di un edificio fortificato, mentre a valle, verso il sole, il volume perde il guscio di pietre aprendosi e manifestando la sua parte più molle, la sua pancia. Su questo lato, tre cristalli sospesi di cemento bianco disegnano ombre e luci nello spazio, portando la dimensione domestica dell’abitare al centro del paesaggio.

©Disegni di Andrea Pressiani.