Invito al viaggio
di Angelo Del Vecchio | Chi volesse tentare un’inedita esperienza conoscitiva dovrebbe recarsi, digiuno di notizie storico-tecniche-critiche che la riguardano, presso una qualsiasi architettura di suo interesse e provare una percezione virginale del territorio incognito che si trova a esplorare, affidando ai sensi, prima che all’intelletto, la cognizione di quanto i sensi vanno gustando, registrandolo.
È una strategia applicabile proficuamente ai fatti d’arte, ai libri e alle architetture, lasciati liberi di incuriosire o meravigliare o innescare compiacimento, per sollecitare solo in seguito informazioni intorno agli argomenti che li coinvolgono, inquadrandoli meglio a posteriori, confermando oppure contestando quella prima impressione.
Che meraviglia e sorpresa attivino dunque l’eventuale indagine conseguente, perché l’economia del metodo consiste proprio nell’escludere a priori approfondimenti di quel che non attrae da subito emotivamente.
Veduta del chiostro non ancora restaurato (photo credit: Raphael Bet).
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Si vada pertanto negli ambienti del complesso di Santa Clara come vi si fosse giunti per caso, vagando e divagando per la città di Pavia, attratti forse da quei curiosi pinnacoli di mammelle impilate a piramide, turgide sulla facciata della chiesa nella pubblica via a ricordare per sineddoche la femminilità claustrale che là dentro operava, le sorelle clarisse che quel perimetro per secoli ha murato sottraendole al tempo. Si penetrerebbe così in un luogo singolare, uno spazio che proprio il tempo condensa, le cui molte tracce sono esposte sinotticamente dai giorni della fondazione (intorno al 1200) ai nostri giorni, leggibili in sovrapposizioni successive come gli strati progressivi di quei pinnacoli materni che ci hanno indotto a entrare.
L’antico monastero medievale, ristrutturato a fine Settecento come collegio per studenti, mai entrato in realtà in attività, fu trasformato in caserma militare; negli anni vennero poi ricavati in quegli stessi ambienti, alloggi per sfollati, dipendenti pubblici, rimesse dei mezzi Asm, officine e altre inopportune villanie, sino all’abbandono totale precedente i lavori di ristrutturazione che lo destinano oggi a sede di biblioteca comunale.
Questo lo si apprende solo in seguito, appunto; al momento della visita sorprende piuttosto il chiostro lindo d’intonaco di calce coi porticati detersi e un poco moraleggianti a contrasto con quella fitta marmaglia botanica infestante lo spazio centrale a cielo aperto, una generazione spontanea di erbacce selvatiche e scapigliate che farebbero la gioia di un cultore del “Terzo paesaggio”, “un guazzabuglio di steli che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi insomma il posto per ogni verso”.
Ogni tanto, sul bianco dei porticati, lacerti di colore, affreschi o frammenti originali, e poi, inaspettata, la ricomposizione di un varco in mattoni interrotto e ricondotto in muratura intonacata con sensibilità del tutto analitica, contemporanea.
Particolare degli affreschi nel coro della chiesa delle monache (photo credit: Raphael Bet).
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Altre scoperte poi addentrandosi nel profondo del convento e anzitutto la “sala macchine” avviluppata in una formidabile vegetazione metallica di tubi condotte e impianti ipogei, non meno esuberante di quella naturale esterna, un giardino meccanico capace di governare l’intero bastimento soprastante.
Così perlustrando le regioni settentrionali dell’itinerario si rinvenirebbe il reperto forse più rappresentativo della cura davvero materna (sarà forse lo spirito del luogo?) con cui Vittorio Prina, autore del progetto di ristrutturazione, ha operato sulle cose risemantizzandole secondo la propria sensibilità e cultura: quella scala ottagonale metallica che scende dal soffitto cui è interamente appesa e che in Genova interseca i diversi livelli di un magistrale allestimento museale, ora è qui in Pavia a collegare una passerella sospesa ai fili di tiranti metallici turchini e ai fili – celesti? – della memoria. Anche il grande soppalco con scala di collegamento elicoidale, ancora in ferro e pietra, all’interno della chiesa delle monache, è appeso a capriate metalliche che sorreggono le antiche capriate lignee celate nel sottotetto, perché al progettista, da sempre interprete albiniano in scritti, guide, testi, piace verificare quell’ascendente elettivo in tracce non soltanto accademiche ma tangibili, costruite, sensibilmente architettoniche.
Eppure è un altro il particolare che incuriosisce tra quelli citati e non per la natura particolare dell’idea o della sua realizzazione pratica, pur pregevoli, ma per la modalità della sua apparizione mnestica – forse inconscia forse consapevole – per la prossimità concettuale e fisica che il nuovo volume dell’ascensore esterno, vetrato e in parte armato d’una lorica in lastre di rame, intrattiene con un altro volume bardato invece di laterizi proto medievali, col quale parrebbe scender in torneo: quell’ascensore esterno, di qui poco distante, segnale araldico di un diverso ciclo allestitivo meno noto di quello genovese ma altrettanto mirabile – e a Prina ben presente avendovi operato pertinentemente – l’impresa museale intendo di Bruno Ravasi al castello Visconteo di Pavia, di cui prima o poi bisognerà dire.
Pianta del piano terra.
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Come in un’antica iconografia, Albini-Ravasi-Prina si ricongiungono idealmente in Pavia sotto il manto di Santa Clara insieme ai molti riferimenti progettuali da rilevare ancora, da indagare anzi ora a seguito delle percezioni del viaggio, perché solo adesso sarebbe davvero il momento di dare inizio a una ricognizione più razionale.
Veduta della chiesa per esterne con soppalco appeso e scala elicoidale (photo credit: Raphael Bet).
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Restauro del monastero di Santa Clara quale sede del nuovo polo bibliotecario-culturale
di Vittorio Prina | Quando entro nel complesso di S. Clara, dopo ventitré anni circa dalla prima volta, nella mia mente si affastellano ricordi ed emozioni contrapposte, momenti di gioia e nubi da incubo.
Il progetto è stato da me redatto assieme a una solida equipe di professionisti esterni al Comune che ha proseguito la collaborazione anche nella fase di direzione lavori.
La prima campagna di rilievi, saggi stratigrafici, indagini materiche e strutturali, prove di carico è iniziata nel 1996, seguita dal progetto del primo lotto nel 1998, del secondo nel 2003, via via fino ai giorni nostri.
Primo progetto, primo lotto, risoluzione in danno; nuovo appalto comprendente primo e secondo lotto, altra risoluzione immediata con un’impresa-scatola vuota; passaggio alla successiva in graduatoria, nuovi problemi, lavorazioni errate e pretese esorbitanti, nuova risoluzione, contenzioso, arbitrato, accordo transattivo e si è ripartiti nuovamente…
L’iter di realizzazione dei lavori è stato, come si evince, particolarmente travagliato e ha determinato un protrarsi paradossale dei tempi, lunghe sospensioni dei lavori, abbandono progressivo e altro, specchio di una situazione nazionale costellata di leggi e imprese a dir poco inadeguate, oltre a problemi endemici degli enti pubblici.
Un accordo transattivo e l’ottenimento del cospicuo finanziamento ministeriale “Piano delle città” ha permesso di proseguire l’opera e di completare la porzione più ampia e importante del complesso.
Al momento è in fase di inizio il lotto successivo che comprende la chiesa per esterni ora auditorium, la porzione sud-ovest, gli arredi fissi complessivi, la sistemazione del chiostro e il restauro delle facciate prospicienti il chiostro stesso, purtroppo oggetto di un appalto integrato con problemi non irrilevanti.
L’ala ovest sarà riqualificata con finanza di progetto: un privato restaurerà e gestirà gli spazi relativi in cambio dell’edificazione di piccole residenze in fregio a via Calchi, nella porzione acquisita dal Comune.
La prima proposta funzionale è stata la creazione di una nuova sede per la biblioteca Bonetta, trasformata in biblioteca multimediale con funzioni espositive e un auditorium; innovativa all’epoca ma ormai superata dall’evoluzione di internet e da concezioni più aperte e contaminate degli edifici bibliotecari. È stata aggiunta una biblioteca per ragazzi e attualmente è allo studio un piano di revisione funzionale che prevede attività complementari di formazione, laboratoriali, sedi di centri interculturali e la possibilità di proporre nel chiostro rassegne cinematografiche e spettacoli.
Particolare della scala ottagonale (photo credit: Raphael Bet).
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Note di progetto La condizione in cui versava il complesso all’inizio dei lavori di restauro era di esteso degrado: la chiesa delle monache e gli spazi principali erano suddivisi in alloggi; la chiesa per esterni era sede di un’officina così come molti locali erano destinati a deposito di mezzi pesanti o altro.
La metodologia di progetto è affine al restauro scientifico e prevede la lettura e riconoscibilità dei nuovi interventi rispetto alla situazione originale esistente; sono stati conservati e restaurati la maggior parte degli intonaci originali – se in buono stato di conservazione – o sostituiti e integrati da intonaco di calce macroporoso se irrecuperabili. La medesima metodologia è stata adottata per le opere in laterizio o in materiale lapideo e ligneo.
Gli elementi architettonici di nuova costituzione sono perfettamente riconoscibili e caratterizzati da un linguaggio non mimetico: i volumi a nord, addossati alla parete esterna del monastero, sono stati sovralzati, consolidati e finiti all’esterno con intonaco di calce in cocciopesto.
Al loro interno è ospitata la grande scala di sicurezza ottagonale con passerella, in ferro e pietra, interamente appese al soffitto: elementi perfettamente distinguibili rispetto alla compagine muraria esistente. L’intervento costituisce un omaggio all’opera di Franco Albini.
Anche il grande soppalco con scala di collegamento elicoidale, ancora in ferro e pietra, all’interno della chiesa delle monache è appeso alle capriate metalliche – che sorreggono anche le antiche capriate lignee – celate nel sottotetto.
La pietra utilizzata è beola grigia, materiale lapideo locale, mentre i pavimenti degli spazi principali sono in seminato di cocciopesto.
Le capriate lignee sono state restaurate e, in alcuni casi, consolidate con tiranti in acciaio. Il pavimento del sottotetto è stato consolidato con la posa di assi lignee incrociate.
Si entra nel complesso attraversando l’androne realizzato dal Pollach che ha tagliato la chiesa di clausura per interne, che all’epoca si affacciava nella chiesa per esterni, posta, raro esempio, perpendicolarmente.
L’ingresso alla biblioteca è collocato all’estremità nord-est del chiostro: in questa zona sono concentrati alcuni spazi di servizio (guardaroba, servizi igienici, sala cataloghi, piccolo bar); il percorso conduce alla grande cappa ogivale – originariamente destinata a cucina – utilizzata come atrio.
All’interno dei volumi a nord, sovralzati e addossati al prospetto principale nord del Monastero, sono stati realizzati il secondo ascensore e la citata seconda scala sospesa di collegamento tra i piani terra e primo.
Procedendo lungo il piano terra dell’ala est troviamo la sala distribuzione e la sala lettura – in origine destinata a refettorio – unitamente al secondo nucleo di spazi di servizio. Nell’angolo tra l’ala est e l’ala sud è ubicata la scala settecentesca di accesso al primo nucleo di spazi e all’archivio libri.
In prossimità della scala è stato realizzato un ascensore di collegamento tra i due piani, direttamente collegato con la sala esposizioni ricavata nella Chiesa di Clausura per le suore; la chiesa è dotata di un doppio livello, che si affaccia sul coro, grazie a un grande soppalco sospeso in ferro e pietra. Gli affreschi del coro sono stati restaurati.
Gli ampi spazi al primo piano delle ali est e nord sono destinati al grande deposito libri (le volte sottostanti sono state rinforzate con una consistente volta nervata alleggerita in calcestruzzo); gli spazi corrispondenti alle antiche cellette ospitano gli uffici, archivi e spazi didattici.
Al piano terra dell’ala nord sono collocate le principali funzioni complementari e la biblioteca per ragazzi.
Nell’angolo nord-ovest, lungo il fronte esterno ovest, è stato realizzato il terzo ascensore pensato quale volume esterno autonomo – struttura metallica rivestita in lastre di rame e in parte vetrata – situato nell’area negli anni acquisita e collegato al volume principale con brevi passerelle.
Il colore azzurro-verde acqua delle parti metalliche è mutuato dai grandi spazi delle esposizioni universali di fine Ottocento, in ghisa o ferro e vetro, e alla tradizione del Moderno da Le Corbusier a Jan Duiker, in ragione della leggerezza visiva che acquisiscono le parti metalliche stesse.
Veduta dell’ascensore esterno. Photo: ©VP.
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Breve nota storica Il monastero detto di Santa Clara, ma dedicato a Santa Maria delle Grazie, costituisce un raro esempio di complesso giunto in stato di relative completezze e leggibilità. In sintesi si riconoscono parti della primitiva chiesa cistercense risalente alla metà del XIII secolo, relative alla comunità di monache cistercensi che abitano “Santa Maria de intus hortos” all’incirca dal 1244; le clarisse si installano dopo il 1474 mutando radicalmente l’impianto della chiesa e dell’intero complesso.
Alla fine del Settecento Leopold Pollach ristruttura il complesso al fine di adattarlo a sede di collegio per studenti: realizza l’androne d’ingresso che interrompe il collegamento tra le due chiese (la chiesa delle monache si affacciava perpendicolarmente nella chiesa per gli esterni) e lo scalone nell’angolo sud-est; sovralza i volumi verso corte eliminando le finestrelle corrispondenti alle cellette e creando nuove aperture.
Il collegio non entra mai in funzione e il monastero diventa sede di una caserma (Caserma Calchi); più recentemente sono stati ricavati alloggi per dipendenti pubblici (anche all’interno della chiesa), rimesse dei mezzi Asm, sedi di officine, in seguito case occupate, fino all’abbandono.
Schizzo di studio della sezione della chiesa per le monache.
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