(dalla Relazione di progetto)
In attesa della rinascita Il principale protagonista del procedimento concorsuale è un parco urbano situato nel quartiere Santa Rosa a Lecce. L’area di intervento ricopre una porzione periferica del tessuto urbano ma risulta invece centrale se si considerano le relazioni materiali ed immateriali che la legano alla città consolidata. Per poter rintracciare e decodificare tali relazioni, è necessario introdurre alcune informazioni determinanti alla comprensione del luogo e delle sue stratificazioni.
Risultato di accordi tra amministrazioni comunali ed Esercito, il parco è stato per lungo tempo caratterizzato e presieduto da due realtà distinte: da un lato il parco Montefusco, a destinazione sportiva, all’interno del quale si articolano diversi dispositivi legati all’attività fisica e la cui vocazione è ulteriormente rafforzata dalla presenza al suo interno della sede del CONI, con la quale stabilisce un legame d’uso ma anche d’immagine; dall’altro, l’area di addestramento militare della Caserma Pico, le cui attrezzature sono anch’esse legate all’attività fisica ma secondo una differente declinazione, ossia quella della formazione militare.
Nel 2018 Caserma Pico ha riconsegnato gli spazi di addestramento al Comune il quale, attraverso l’unione dei due ambiti, ha (ri)costituito un comparto a dominante naturalistica di superficie complessiva pari ad oltre 11 ettari, di fatto la più grande area verde della città.
Il tessuto del parco mostra tutt’ora i segni di questo articolato avvicendamento: soglie, confini e barriere ne limitano la fruizione sia dal punto di vista spaziale che temporale, poiché legati a rigidi orari di apertura e chiusura al pubblico dell’intera area.
Foto: ©Tomas Ghisellini. (cliccare sull’immagine per consultare la galleria fotografica)
A fronte di questa breve introduzione, è possibile proseguire la lettura dell’area avvalendosi degli strumenti forniti all’interno del kit di partecipazione, i quali attraverso un’attenta analisi sullo stato funzionale e di conservazione delle attrezzature presenti nel parco, così come della mobilità e dei confini, ne delineano uno stato di fatto che presenta alcune criticità.
Come più sopra anticipato, i margini, i bordi e le recinzioni limitano in maniera determinante la fruizione dell’area, sincopandone l’uso e frammentandone gli ambiti. Di conseguenza, le attrezzature sportive, non liberamente raggiungibili, versano in una condizione di generale degrado la cui gravità è direttamente proporzionale al grado di inaccessibilità del loro ambito di pertinenza. A queste due criticità se ne può aggiungere una terza di carattere funzionale: la vocazione spiccatamente sportiva del parco non risulta in alcun modo connessa a funzioni più squisitamente interrelate alle dinamiche del leisure contemporaneo (cultura, tempo libero, recupero psico-fisico, svago) che si ritiene potrebbero ampliare significativamente i confini di fruizione oltre i margini temporali naturalmente connaturati all’esercizio delle attività sportive.
Di fatto all’interno del parco sono quasi del tutto assenti le opportunità di servizio agli sportivi così come gli spazi potenzialmente dedicabili al recupero, limitati esclusivamente alla occasionale presenza di alcune panchine. Non si può non ravvisare l’assenza di una qualsiasi connessione tra la vocazione sportiva del parco e la possibilità di rintracciare al suo interno altre occasioni d’uso, non necessariamente convergenti o complementari, che possano contribuire ad attivare nuovi flussi di frequentazione e, con essi, un procedimento di naturale presidio, cura e rinascita di questo brano di città.
Foto: ©Tomas Ghisellini. (cliccare sull’immagine per consultare la galleria fotografica)
Obiettivi a portata di mano Il concorso si innesta all’interno di un processo di ripensamento e riprogettazione del parco, che ha il fine di ricucire le relazioni di vicinato che lo legano al tessuto urbano, ma anche di rilanciare un frammento di città attraverso il progetto dello spazio pubblico.
Le valutazioni nel merito delle condizioni contingenti sono sin qui approdate su di una proposta di massima per la ridefinizione della geografia dell’area volta a sovvertire le criticità di cui più sopra si è parlato. L’area oggetto di intervento è una porzione circoscritta del parco; la strategia operativa prevede l’apertura di nuove reti di mobilità al suo interno oltre che il ridisegno dei margini fisici e dei vincoli temporali d’uso. Collocata nella porzione centrale del parco, l’area ha una superficie di circa 3.600 mq ed è costituita da terreno erboso prevalentemente pianeggiante, perimetrato da una cortina arborea e da una recinzione metallica che ricava l’unico possibile accesso presso un cancello situato lungo il margine nord-occidentale. Lungo il lato orientale è invece situato il principale asse di mobilità del parco, che lo suddivide nelle due porzioni distinte precedentemente legate ad altrettante differenti proprietà.
Il bando di concorso prevede l’utilizzo di profili in legno di recupero (di forma e sezione variabili) derivanti dai procedimenti produttivi di CNH Industrial. Il budget operativo, fissato in 10.000 euro, inclusivo degli oneri di legge, ma al netto dei costi per i componenti in legno messi a disposizione gratuitamente, costituisce vincolo non superabile.
A parziale anticipazione di quanto al seguito più in dettaglio descritto, il progetto qui presentato:
– è costituito per il suo 91% dai soli materiali di recupero, pertanto straordinari e indiscussi protagonisti;
– tutte le opere, documentate da dettagliato computo metrico, sono realizzabili nel pieno rispetto del budget assegnato;
– tutte le opere sono integralmente (e facilmente) realizzabili in autocostruzione.
Foto: ©Tomas Ghisellini. (cliccare sull’immagine per consultare la galleria fotografica)
La visione di progetto La sfida consiste nel concepire la rigenerazione dal basso di questo brano di città rimodellando un luogo alternativo ed integrativo al tessuto delle funzioni unicamente sportive dell’area. La cultura contemporanea, nelle sue epoche più recenti, ha espresso una particolare benevolenza nei confronti delle iniziative di trasformazione urbana che hanno saputo ben interpretare il carattere ibrido, instabile e mutevole delle nuove compagini societarie. Ciò appare come un chiaro segnale direzionale nei confronti dei procedimenti di pianificazione e ripensamento delle logiche di recupero: non più interventi monofunzionali, specialistici o “chiusi” ma proposte alterabili, modificabili, implementabili, riscrivibili, miscelabili o addirittura removibili in funzione di esigenze di fruizione e “consumo” delle città sempre più liquide, multiformi e metamorfiche.
Per questo la proposta di progetto disegna uno scenario eterogeneo che individua nello sport soltanto uno dei possibili strumenti di coinvolgimento della comunità: la salute del corpo proveniente dall’attività dinamica di mantenimento ed allenamento è associata alla salute psicofisica derivante da una corretta alimentazione e dal suo esercizio in condizioni di condivisione collettiva, di scambio comune, di coesione sociale.
Finalmente le attività legate allo sport ed all’esercizio fisico troveranno nuove occasioni di arricchimento, integrazione, sofisticazione, ibridazione e completamento nello scenario proposto dal progetto. Perché se è vero che l’attività sportiva è di norma seguita dalla fame per la necessità biologica di nuove energie, è pur vero che un pasto abbondante può essere neutralizzato da una buona dose di esercizio fisico! Sport e cibo, in sostanza, vivono le vicende di una infinita alleanza. O di un’altrettanto interminabile battaglia, a seconda del punto di vista dal quale si voglia guardare a questa storia!
Sarà una nuova agorà per la Lecce dei prossimi anni, un luogo antico eppur così attuale dove (tornare a) depositare il senso di appartenenza, l’amore incondizionato per le nostre straordinarie città, la passione per le nostre origini, il sentimento collettivo.
Incontrarsi, stare insieme, mangiare alla grande: tutto questo sarà MEET & (GR)EAT.
©Tomas Ghisellini Architects. (cliccare sull’immagine per consultare la galleria fotografica)
Il sistema formale: la matrice e i cactus La proposta di progetto parte dal recupero di uno dei sistemi fondamentali di conoscenza, misurazione, regimentazione e governo sistematico del territorio pugliese: la matrice ortogonale. Estensioni sconfinate di campagne “disegnate”, le costruzioni per il controllo e la cura delle terre, così come i meravigliosi uliveti che tutto il mondo guarda con ammirazione, trovano nel tessuto a maglia regolare il dispositivo formale originante.
Così il progetto qui proposto, che stende su tutta l’area di intervento una ideale matrice a maglia ortogonale di 2 x 2 metri, tracciando a terra, come su di una tela, il disegno temporaneo e leggero delle linee originanti in gesso. Questa semplice operazione trasforma il luogo in uno spazio quasi astratto di ascendenza ludica, un’affascinante scacchiera su cui giocare la grande partita del futuro prossimo.
I punti della matrice, secondo schemi di regolare aggregazione, sono in parte colonizzati dall’impianto di elementi verticali, simili a snelli steli cruciformi, derivanti dall’assemblaggio dei profili lignei di recupero secondo uno schema compositivo che lascia un affascinante vuoto di avvicinamento tra i montanti principali.
Una sorta di curiosa palificata “molecolare” allestisce alcune piccole stanze abitabili assieme ad una serie di occasioni e supporti multifunzione per un abaco di potenzialmente infiniti usi differenziati: sostegni per leggeri velari parasole, supporti per attrezzi sportivi a corpo libero (spalliere, barre per trazioni, cavalline verticali, ecc.), montanti per reti di gioco (minivolley, beach-tennis, ecc.), paline per stendardi, insegne e bandiere, ancoraggi per luminarie aeree sospese, agganci per amache e lettini rilassanti all’aperto, puntoni per piccoli belvedere sospesi e molto altro ancora.
Stuoie vegetali calpestabili in fibra di cocco campiscono i “pavimenti” (traspiranti e permeabili all’acqua) degli ambienti disegnati dai minimali wireframe degli steli colorati. I tappeti, trattati con tinte naturali in accordo con quelle dei corrispondenti elementi lignei verticali di riferimento, saranno fissati al suolo per mezzo di picchetti removibili da terra in acciaio inox, a testa piana antinfortunio e a completa scomparsa.
Foto: ©Tomas Ghisellini. (cliccare sull’immagine per consultare la galleria fotografica)
Nel tessuto degli elementi singoli e delle micro-attrezzature, un vero e proprio padiglione (dimensioni in pianta 4 x 8 metri), protetto da un’articolata copertura in legno e tessuti permeabili simile ad un merletto, ospita le dotazioni e le attività funzionali connesse alla vendita ed alla somministrazione di cibo e bevande. Lo spazio si trasformerà in caffè, cocktail-bar, ristorantino gourmet, trattoria, street-food point ed altro ancora a seconda delle esigenze e degli appuntamenti di calendario durante tutto il corso dell’anno. I confini del padiglione, pensati per costituire soglie di approdo sia dall’interno che dall’esterno fungeranno da margini di interscambio per il massimo potenziamento della condivisione, mentre nelle pertinenze libere tutt’intorno velari sospesi proteggeranno in una suggestiva riservatezza flessibile sedute e tavoli per il consumo.
Il colore interverrà a caratterizzare spazi ed ambiti in maniera riconoscibile, orientando la percezione e conferendo al luogo (per continua sovrapposizione visiva degli elementi verticali) un carattere mutevole, un aspetto cangiante ad ogni passo. Padiglione e attrezzature ludico-sportive assumeranno colori differenti a seconda della funzione, esplicitando in maniera chiara e visivamente fascinosa il passaggio da una all’altra delle “stanze” ambientali in cui rilassarsi, sorseggiare un drink, giocare o semplicemente stare in compagnia di altre persone.
Eccezioni al sistema preordinato della griglia regolare puntiforme, una serie di stilizzati cactus sorgono spontanei qui e là dal terreno come sculture. Modellati a partire da paffuti dischi lignei a semplice incastro, questi succulenti fichi d’india identificano punti di orientamento percettivo all’interno del tessuto omogeneo e sempre identico della palificata policroma. Il riferimento al fico d’india strizza l’occhio a una delle presenze più antiche del territorio, un esempio perfetto di resilienza ambientale, capacità di adattamento ed economia di risorse che ancor oggi rappresenta una delle immagini più fortemente connaturate all’iconografia regionale e, in genere, all’immagine che i più conservano dei paesaggi del sud.
Il sistema per certi versi metabolista a griglia puntiforme mette a disposizione infinite possibilità di colonizzazione del suolo così come di replicabilità e di estensione delle soluzioni composte secondo ampliamenti e successive addizioni in tutto congruenti con quanto già eventualmente realizzato. Il principio ordinatore consente inoltre modifiche e ricomposizioni delle configurazioni pregresse in ciò non compromettendo la coerenza complessiva dello scenario progettuale.
©Tomas Ghisellini Architects. (cliccare sull’immagine per consultare la galleria fotografica)
Materiali a impatto zero Come più sopra brevemente accennato, il progetto si costituisce unicamente di materiali naturali, di recupero ed integralmente riciclabili, assimilabili per lo più alla categoria dei materiali ad impatto ridotto o quasi zero. In particolare:
– componenti lignee fuori terra: profili di dimensioni e sezioni variabili provenienti da recupero di lavorazione industriale CNH, in cantiere tagliati e levigati, pronti per le successive lavorazioni di montaggio in opera;
– componenti lignee di fondazione: profili di dimensioni e sezioni variabili da recupero (vedi punto precedente), protezione antiumidità delle parti infisse nel terreno con idrocatramina ecologica per formazione di film idrorepellente e di parziale impermeabilizzazione;
– vernici per elementi lignei: smalti all’acqua colorati a base vegetale, applicati in doppia mano previa applicazione di primer aggrappante all’acqua, senza solventi e senza tracce di cromo esavalente;
– viteria e bulloneria: unitamente a chiodi, tasselli, piastre, rondelle e similari, in acciaio inox, integralmente riciclabili, senza tracce di nichel, zinco e cromo esavalente;
– ricoperture di “pavimentazione” all’aperto: stuoie traspiranti e drenanti in fibra intrecciata di cocco senza fondi vinilici, applicate a secco e fissate per mezzo di picchetti antinfortunio, a totale scomparsa nel terreno, in acciaio inox;
– vele ombreggianti: in tessuti di fibre naturali riciclate, senza coloranti sintetici, con asole e corde di fissaggio e tensione in fibra di juta. Senza formaldeide e trattanti chimici;
– tessuti in rotolo per formazione protezioni parasole: in tessuti di fibre naturali, senza coloranti sintetici, fissati alle componenti lignee di recupero con graffature e chioderia in acciaio inox, senza formaldeide e trattanti chimici;
– complementi per esercizi ginnici a corpo libero: profili di dimensioni e sezioni variabili provenienti da recupero di lavorazione industriale CNH, in cantiere tagliati e levigati, assemblati con il ricorso a componenti metalliche riciclabili. Trattamenti protettivi idrorepellenti senza solventi, vernici a base naturale senza formaldeide;
– reti e tessuti per formazione partizioni sport di volo: in fibra naturale o sintetica da riciclo, senza il ricorso a componenti in plastica non recuperabile.
Il progetto prevede il completamento integrale delle opere senza il ricorso ad alcuna lavorazione “umida” in opera. Tutti gli elementi progettuali (primari, secondari e di completamento), montati a secco, sono completamente removibili; il progetto, pertanto, rappresenta un perfetto esempio di operazione reversibile per la quale il sito di impianto può ritornare alla condizione di partenza senza che al medesimo siano state apportate alterazioni permanenti.
©Tomas Ghisellini Architects. (cliccare sull’immagine per consultare la galleria fotografica)