La mostra curata da Fulvio Irace e Pierluigi Panza è un viaggio attraverso i secoli, alla scoperta della natura cangiante di un meraviglioso corpo architettonico che è risorto dalle sue ceneri, come l’araba fenice, e si è trasformato come un camaleonte per adeguarsi alle mutate esigenze dei tempi e delle società.
Foto di Andrea Martiradonna.
La sua storia ha inizio nel febbraio del 1776 con l’incendio del teatro di corte, andato a fuoco per la terza volta, e con la conseguente decisione di realizzare una nuova costruzione più solida e sicura nel luogo dove sorgeva la chiesa di Santa Maria alla Scala. Sotto l’egida di Maria Teresa d’Austria e su armonioso disegno di Giuseppe Piermarini in soli due anni viene realizzato l’organismo con pianta a ferro di cavallo destinato a diventare il prototipo dei teatri neoclassici.
Foto di Andrea Martiradonna.
Sui pannelli dell’allestimento disegnato da Italo Lupi, Ico Migliore e Mara Servetto e ospitato nel Museo del Teatro scorre la genesi architettonica di questo luogo consacrato alla musica e all’opera. All’originario organismo del Piermarini si susseguono gli interventi ottocenteschi di ammodernamento e adeguamento per mano di Luigi Canonica, Alessandro Sanquirico, Giuseppe Tazzini. Nel XX Secolo sono i lavori curati da Luigi Lorenzo Secchi a dare la momentanea impronta moderna al teatro che, pesantemente bombardato nel 1943, viene in gran parte ricostruito nel periodo post-bellico su progetto dello stesso ingegner Secchi. La cronaca del Terzo Millennio segna il nuovo passo della Scala con l’articolato intervento che, dal 2002 al 2004, viene curato da Elisabetta Fabbri (restauro della parte monumentale), Franco Malgrande (rifacimento del palcoscenico) e Mario Botta con Emilio Pizzi (ideazione complessiva e addizione di nuovi volumi). L’ultimo capitolo della mostra riguarda il futuro ampliamento su via Verdi, dove su progetto dello stesso Botta verrà edificata la nuova addizione che affiancherà la torre scenica.
Foto di Andrea Martiradonna.
Tre sono gli episodi del percorso espositivo che meritano un commento. Il primo è il cuore della mostra che accoglie il visitatore con un vero coup de théâtre. Qui l’allestimento si conforma come una “fossa d’orchestra” e, sui leggii dei musici, sono presentate le immagini che, illuminandosi in sequenza, evocano i momenti più incisivi della vicenda architettonica.
Foto di Andrea Martiradonna.
Il secondo episodio riguarda il ricorso ai video come modalità di racconto parallelo. Il visitatore è accolto all’ingresso del Museo da un breve video introduttivo, a cui segue una seconda proiezione più approfondita al piano superiore arricchita da documenti dell’Istituto Luce e Rai Teche. Una video-sequenza di immagini e testi sovrasta la “fossa d’orchestra” e, dulcis in fundo, nel Ridotto dei palchi un ultimo video ha come protagonista Mario Botta impegnato a spiegare i suoi progetti.
Foto di Andrea Martiradonna.
L’ultimo episodio è la felice intuizione di utilizzare il Ridotto del teatro come prolungamento dello spazio espositivo collocando al suo interno, oltre allo schermo con il video di Botta, il bel modello ligneo di Ivan Kunz che seziona longitudinalmente l’edificio e, infine, permettendo al visitatore di affacciarsi dai palchi per ammirare il ventre di questa magnifica fabbrica che, a distanza di 240 anni, continua a meravigliare il mondo.